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La Supercoppa Italiana a Riad vale più della vita del giornalista Khashoggi?

(di Marcel Vulpis)* – Quello che è avvenuto lo scorso 2 settembre a Istanbul, all’interno del consolato saudita, ha dell’incredibile per il livello di ferocia e per la totale assenza di rispetto dei più basilari diritti umani. 

La morte di Jamal Khashoggi, giornalista del quotidiano The Washington Post, attirato all’interno del consolato arabo con un tranello, è una macchia indelebile che resterà impressa sull’immagine internazionale del Governo saudita. Questo omicidio “premeditato”, come confermato dallo stesso procuratore generale saudita (attualmente in Turchia per seguire le indagini), rispedisce, alla velocità della luce, lo Stato arabo nel più cupo Medioevo. 

Secondo alcuni quotidiani filogovernativi turchi (il più importante è la testata “Sabah”), il corpo del giornalista saudita sarebbe stato smembrato, messo in cinque valigie e sciolto nell’acido. Un racconto di quelle ore che lascia sgomenti per la ferocia, e che trova risposta nel fatto che Khashoggi (figura di primissimo piano dell’opposizione al principe ereditario Salman) rappresentava, da tempo, una delle “voci libere” dell’Arabia Saudita. E infatti è morto. 

Una ferocia brutale sul corpo di Khashoggi

Per i principali giornali turchi, ripresi dalla stessa tv araba Al Jazeera, non ci sarebbero dubbi: il cadavere dell’uomo sarebbe stato riposto in cinque bagagli diversi. Probabilmente per facilitarne la sparizione.

Citando funzionari rimasti anonimi, Sabah avrebbe anche riferito, nei giorni scorsi, che le borse sarebbero state portate nella residenza del console saudita vicino alla struttura, il giorno stesso dell’uccisione del giornalista.

Il presidente turco Recep Erdogan

Venerdì scorso, un consigliere del presidente Recep Tayyip Erdogan (nella foto sopra) ha affermato che gli autori dell’omicidio avrebbero tagliato a pezzi il suo corpo per poi scioglierlo. Il perché è semplice: uno “smaltimento” più veloce delle prove. A confermarlo anche il politico turco Yasin Aktay, amico di Khashoggi, che lo avrebbe rivelato al giornale Hurriyet: “Hanno mirato a garantire che nessun segno del corpo fosse rimasto”. Ma è stato un alto funzionario turco a fornire un ulteriore elemento, pur non esibendo prove: ad Al Jazeera avrebbe raccontato che il cadavere del giornalista sarebbe stato dissolto nell’acido per non lasciare alcuna traccia.

Le figure chiave secondo i media turchi

Le fonti anonime, ascoltate dai media turchi, avrebbero anche spiegato che le figure chiave, tra i 15 sauditi, chiamati in causa come sospetti dopo la sparizione dell’attivista, sarebbero tre. Il primo sembrerebbe essere un “uomo di fiducia” del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Il secondo, invece, è il capo del Consiglio scientifico saudita di Forensi (oltre che colonnello dell’Esercito). Il terzo, infine, è stato promosso tenente nella guardia reale del regno l’anno scorso, per il coraggio nella difesa del palazzo del principe ereditario a Jeddah.

Per il presidente turco, l’uccisione del giornalista di origini saudite è stata una chiara violazione e un “palese abuso” della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari. “Siamo scioccati e rattristati dagli sforzi di alcuni funzionari sauditi per coprire l’omicidio premeditato di Khashoggi, piuttosto che servire la causa della giustizia, come richiederebbe la nostra amicizia”, ha dichirato in un recente intervento tv Erdogan.

Sempre il presidente in tv ha sottolineato: “Non credo un solo secondo che Re Salman, il guardiano delle sante moschee, abbia ordinato il colpo contro Khashoggi“, aggiunge, ma l’ordine di uccidere Jamal Khashoggiè venuto dai livelli più alti del governo saudita“.

L’imbarazzo di giocare a Riad la Supercoppa Italiana 

Il prossimo 13 gennaio Juventus e Milan si affronteranno nell’ultimo evento calcistico della stagione 2018: la finale della Supercoppa Italiana. Nei mesi scorsi la Lega calcio serie A ha ufficializzato di voler giocare questo match a Riad (dopo aver chiuso un accordo con la General Sports Authority saudita – GSA), per una serie di ragioni comprensibilissime: l’internazionalizzazione del prodotto calcio nel mercato mediorientale, ma, soprattutto, il cachet previsto/stimato per entrambi i club (3,2 milioni di euro a testa) e per la Lega stessa. Circa il doppio, per esempio, di quanto incassato nelle diverse finali a Pechino (in Cina) negli anni passati. E la cosa grave, sempre sotto il profilo dell’immagine, è che l’accordo è per un triennio. Non è neppure un evento one shot

Non è possibile che il calcio italiano disputi una gara ufficiale in un Paese, che ha deciso volontariamente di abdicare al rispetto dei diritti civili/umani. Il football tricolore non può andare in Arabia Saudita a fare l’”inchino”, dimenticando, o (peggio ancora) spostando sotto il tappeto, la verità dei fatti, oltre che la ferocia di quanto emerso, in queste ultime settimane, sui principali media.

Ecco perché, come agenzia stampa italiana, chiediamo al Presidente della Lega calcio serie A (Gaetano Miccichè), al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ai due vice-premier (Luigi Di Maio e Matteo Salvini) di intervenire con fermezza.

La “Supercoppa Italiana 2018”, in programma a Riad, in Arabia Saudita, il prossimo gennaio, deve essere annullata (riportando la finale, per esempio, allo stadio Olimpico di Roma). In attesa di firmare magari un nuovo accordo internazionale, ma con un Paese più attento al rispetto e difesa dei diritti umani. 

Questa finale non può essere disputata in un Paese, che ha dimostrato di aver “premeditato” (nei più alti livelli dell’Esecutivo) l’uccisione di Khashoggi, non collaborando mai, nelle settimane successive, alle indagini delle autorità turche.

Lo Sport è l’esaltazione dei valori dell’etica e del rispetto dell’altro (l’avversario in campo). Qui, invece, dove è il rispetto? In questo caso internazionale, l’unico messaggio, rimbalzato nel mondo, è l’esaltazione della “ferocia” nella sua espressione più brutale. In netta antitesi appunto con i valori dello sport e del calcio in generale. Valori che sono da sempre al “centro” della filosofia della Lega calcio e dei club che ne fanno parte, come Juventus e Milan.

Il calcio non può diventare uno strumento mediatico, un “soft power”, per recuperare in immagine. Neppure di uno Stato, centrale e strategico nello scacchiere internazionale, come l’Arabia Saudita. 

Né l’impegno di Jamal Khashoggi nella ricerca della verità (attraverso le inchieste giornalistiche), può andare disperso dopo la sua morte.

Giocare questa partita a Riad sarebbe come uccidere Khashoggi “idealmente” una seconda volta. Una perdita di valore per l’immagine del calcio tricolore.

Che senso ha o potrebbe avere, infatti, presentarsi in campo, nelle prossime stagioni, a supporto di Onlus e Associazioni benefiche di vario tipo, se poi si decide (chiaramente per ragioni squisitamente economiche) di andare a giocare in un Paese, da cui è partito l’ordine di sequestrare, torturare, smembrare e/o sciogliere nell’acido il corpo di un giornalista?

Se non ci fermiamo adesso diventeremo “idealmente” dei correi, anche se nascosti dietro l’immagine positiva di un pallone che rotola su un rettangolo di gioco. 

Tre milioni e duecento mila euro per club valgono tutto questo? Noi crediamo di no. E adesso aspettiamo la risposta (perché invieremo l’articolo in oggetto ai presidenti dei due club, a Gaetano Miccichè – nella foto in primo piano – , a Luigi Di Maio, Matteo Salvini, al sottosegretario di Stato con delega allo sport Giancarlo Giorgetti e al presidente del Consiglio Giuseppe Conte) e a molti esponenti della classe politica italiana. E valuteremo, concretamente, qual è il livello di sensibilità rispetto al tema del nostro Esecutivo, della Lega calcio, delle istituzioni sportive e della classe politica italiana nel suo complesso. Noi certamente non ci gireremo dall’altra parte e questo è solo un piccolo granello di sabbia da spargere sulla strada della ricerca della verità collegata al “caso Khashoggi”. 

Un uomo, ricordiamolo, che ha perso la vita per difendere i valori della libertà e della democrazia nell’esercizio della professione di giornalista. 

Chiudiamo con quanto pubblica The Washington Post, il più antico e autorevole quotidiano statunitense, nella sua home-page ufficiale: “Democracy dies in Darkness”. Noi crediamo che questa frase sia quanto mai attuale anche nel Terzo Millennio. 

  • direttore agenzia stampa Sporteconomy.it
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Marcel Vulpis

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