Leicester City, da squadra da incubo a favola
(di Massimiliano Morelli) – Da squadra da incubo (fino ad un anno fa lottava per non retrocedere) a squadra da “favola”. Pensieri strani cozzano nella mente adesso che la favola s’è realizzata e l’abuso di celebrazioni per Claudio Ranieri e il suo Leicester City è andato oltre ogni limite. Il primo è legato al Tottenham, che se per caso avesse scavalcato sul filo di lana i neo campioni d’Inghilterra sarebbe diventata la squadra più odiata del pianeta perché avrebbe smesso di far sognare la platea di calciofili che s’è sintonizzata sulla Premier league.
Tralasciando il fatto, per esempio, che sarebbe stata favola pure quella degli Spurs, in caso di vittoria finale, visto che non conquistano il campionato inglese dal 1961 e l’ultima volta che occuparono la piazza d’onore avvenne cinquantatré anni fa. Il secondo, a cercar d’essere freddi e razionali, è legato al signore che in Italia ci siamo affrettati in queste ore a definire “sir” abusando d’un termine anglofono del quale conosciamo appena il significato: venne costretto all’esilio con addosso l’etichetta di “minestraro”.
Chissà, adesso diventerà per la critica uno chef pentastellato per la guida Michelin, tipo Cracco e Bastianich. Roba dell’altro mondo e lo stesso Ranieri, che a 64 anni conquista il primo scudetto della sua carriera con il Leicester City, è ben consapevole della questione, anche se in maniera signorile ha sempre ed elegantemente dribblato lo sdegno d’una diceria simile affermando egli stesso che “il Ranieri di oggi è lo stesso Ranieri esonerato dalla Grecia” quando era commissario tecnico.
Senza accennare minimamente ai trattamenti riservatigli dai dirigenti dei “club de ‘noantri”. Il signor Claudio sono quasi trent’anni che sta sulla breccia, cominciò a Cagliari, dove portò la squadra dalla serie C alla serie A in due anni conquistando anche una coppa Italia di serie C, per poi proseguire, girovago e più o meno vincente a Napoli, Firenze, Parma, Roma, Inter e Juventus in Italia, a Valencia e Madrid sponda Atletico, in Inghilterra una prima volta col Chelsea, in Francia dove ha portato in Ligue 1 il Monaco e ad Atene, dove durò il tempo d’un amen sulla panchina della nazionale ellenica.
Poi, l’apoteosi-Leicester City, città sconosciuta ai più fino a qualche settimana fa, dove ha combattuto e vinto con al fianco un ventinovenne, Jamie Vardy, che un lustro fa militava in quella che può essere considerata l’Eccellenza inglese, una quarta o quinta serie, fate voi. E insieme a una schiera di calciatori che i nostri osservatori neanche avevano degnato d’uno sguardo quando il Leicester campione era bancato a 5.000 a 1 per la conquista del titolo in quella che stucchevolmente continuiamo a definire perfida Albione.
Omettendo il fatto che oggi, nell’isola “perfida”, si vive molto meglio che in Italia. Ma questa è un’altra storia, qui interessa gioire per un connazionale oggi sulla bocca di tutti oltre confine e per la restituzione d’un football a dimensione d’una fiaba. Un po’ come quando nel 1970 una squadra isolana come il Leicester, il Cagliari, conquisto lo scudetto in Italia, prima formazione del centrosud capace di spezzare l’egemonia meneghino-piemontese; o come quando il titolo lo vinse il Verona, che in panca aveva una persona educata e disponibile tanto quanto Claudio Ranieri, ovvero Osvaldo Bagnoli.
Qua adesso è partita la gara a chi si sperticherà di più per decantare la storia d’una banda capace di vincere centotrentadue anni dopo la sua fondazione, e c’è da scommettere che fra qualche settimana sugli scaffali delle librerie faranno bella mostra pubblicazioni più o meno di pregio dedicate alla cavalcata di una delle storie più assurde del calcio. Ma va bene così, ognuno è libero di far quel che vuole specie adesso che la fionda di Davide ha di nuovo annichilito Golia.
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