L’indice di liquidità: la sostenibilità nel calcio non è più una semplice opzione
(di Marcel Andrè Vulpis) – Il tema della sostenibilità del calcio è sempre più nell’agenda, presente e futura, di tutti i club coinvolti nel sistema professionistico italiano. Nel biennio 2018/20 il margine operativo lordo della serie A (misura la capacità o meno di realizzare margini di guadagno) è sceso del 31%, fino ad arrivare alla soglia critica del 40% se si analizza anche la stagione sportiva 2017/18. Più in generale, la capacità di generare flussi di cassa da parte delle società, durante il periodo pandemico, è crollato di oltre 1/3. Un pericoloso segnale d’allarme che ha convinto i vertici della FIGC a presentare l’indice di liquidità come parametro vincolante per l’iscrizione al prossimo campionato.
Questo indicatore serve, soprattutto, a determinare l’eventuale carenza finanziaria di una società e si calcola considerando il rapporto tra “attività correnti” e “passività correnti”. Di fatto è un termometro, nel breve periodo, dello stato di salute di una realtà calcistica, perchè analizza la capacità di quest’ultima di riuscire a rispettare i propri impegni finanziari.
Se, ad esempio, l’indice è pari allo 0,5 (come approvato ieri dal consiglio federale per i club della massima serie) i ricavi societari dovranno coprire almeno il 50% delle spese correnti (per le società di serie B e Lega Pro si sale fino allo 0,7). Logico, quindi, che le società della prima divisione abbiano spinto, fino all’ultimo, per abbassare questa soglia (provando ad arrivare fino allo 0,4), perché avrebbero avuto maggiori spazi dimanovra nel rapporto tra attivo e passivo.
Nella realtà gli indici di controllo, da sempre sotto l’egida della Co.Vi.So.C. (organo di vigilanza sulle società dicalcio professionistiche), sono tre. Accanto infatti all’indicatore di liquidità troviamo quello d’indebitamento(calcolato attraverso il rapporto tra i debiti e i ricavi), oltre a quello collegato al costo del lavoro allargato. In quest’ultimo caso l’indice analizza il rapporto tra costo del lavoro e le entrate societarie.
Nello scorso mese di novembre il valore dell’indice di liquidità era stato fissato (per la stagione in corso) nella misura dello 0,6, andando così a rivedere la percentuale fissata nei campionati precedenti: ovvero 0,7 per il 2019/20 e 0,8 per il 2020/21. E’ probabile che, entro il prossimo quadriennio, si arrivi ad un valore pari all’1%, per garantire quel perfetto bilanciamento tra costi e ricavi, che tutti i principali organismi di governo del calcio auspicano da tempo, preoccupati per le spese gestionali delle società, nonostante l’emergenza sanitaria e i pressanti inviti all’austerity.
Questo nuovo parametro di liquidità non sarà vincolante solo in fase di operazioni di calciomercato, ma anche per l’iscrizione al campionato (nell’ambito delle norme previste per le “licenze nazionali”). L’intervento che si richiederà agli azionisti sarà assolutamente preventivo e sono quattro le soluzioni che potranno essere attivate per raggiungere il valore dello 0,5. Tra questi, i versamenti in conto futuro (in sede di aumento di capitale), i finanziamenti postergati e infruttiferi dei soci stessi, l’aumento di capitale integralmente sottoscritto e versato (da effettuarsi esclusivamente in denaro) o ancora i versamenti in conto copertura perdite. Nel futuro inoltre assisteremo ad operazioni di calciomercato, con cessioni in grado di bilanciare gli acquisti, ma l’effetto sarà più di natura finanziaria che a livello sportivo.
Un ulteriore spunto di riflessione arriva dalla Spagna, dove LaLiga, oltre ad aver introdotto una versione “domestica” del fair play finanziario, vi ha affiancato un salary cap (un vero e proprio limite di costo della rosa sportiva) per provare a governare le spese dei club. Un modello da monitorare, nei prossimi mesi, per valutarne gli eventuali effetti positivi sui conti societari.
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