L’Italia e Manaus, capitale dell’Amazonia
Manaus, capitale dell’Amazonia, quasi 2 milioni di abitanti, era considerata nell’Ottocento come la Parigi dei tropici, vera perla ai bordi del Rio Negro. La città era così importante da erigerci un teatro prendendo ispirazione dalla Scala di Milano, il Teatro Amazonas, maestoso e un po’ in disuso (disuso che molti ritengono sia il destino della stessa Arena Amazonas, costruita in occasione dei Mondiali in una città che non è compresa nella geografia del Brasilerao e che è raggiungibile solo per via fluviale e aerea).
Manaus, nata come forte portoghese, avamposto contro gli attacchi spagnoli, è una città che nel 1700-1800 ha goduto di una grande ricchezza: tale prosperità era dovuta alla coltivazione estensiva del caucciù, pianta che abbondava dalle parti del Rio delle Amazzoni. La capitale amazzone godrà della ricchezza dovuta alla produzione della gomma sino alla metà dell’800: gli inglesi esporteranno la pianta di caucciù in Asia minore, creando concorrenza e gettando sul lastrico una città che aveva navigato nell’oro per oltre un secolo e mezzo.
Dalle parti di Manaus si vivranno tempi bui sino alla metà del ventesimo secolo: le agevolazioni fiscali e una zona franca per il commercio creata ad hoc nella regione amazzonica porterà allora numerose aziende ad aprire una sede in città, rilanciando così l’economia. Tuttora varie multinazionali risiedono nella capitale amazzone (tra le più conosciute Nokia, Siemens e Sagem per le telecomunicazioni e Suzuki e Honda per la produzione di autoveicoli).
Ovviamente, non son tutti fiori quelli nel vaso della città più importante del nord-est brasiliano: la ricchezza relativa è mal distribuita, come in gran parte del Paese; le crescita demografica della città non è seguita da quella delle infrastrutture (Manaus è esempio dell’urbanizzazione selvaggia senza pianificazione tipica delle grandi metropoli brasiliane); la sicurezza è lacunosa, forte nelle zone amministrative e attorno alle sedi delle grandi società, assente nelle periferie industriali e nelle bidonville che si estendono sino alle porte della foresta pluviale. Insomma, la vita a Manaus è spesso caotica e insensata, ma non di meno affascinante.
La maggior parte della popolazione ha ascendenze indigene: la cultura india è molto diffusa, rendendo Manaus una città variegata dal punto di vista culturale e consapevole dell’eredità di capitale del Brasile “d’antan”, frutto della scoperta coloniale e della fusione tra i costumi europei e quelli indigeni piuttosto che la loro sostituzione. Il porto di Manaus è uno spettacolo di piccole barche, pescatori, rumori e canti; le strade sono sempre affollate e variopinte; la poesia aleggia sulle atmosfere dei tramonti tropicali, netti e veloci. Nell’aria la sensazione di un déjà-vu frastornante, dell’alternarsi rapido del giorno e della notte, che ben ricalca il flusso del tempo di una città legata alla natura, con il suo contraltare tra lo scorrere rapido del Rio Negro, e quello placido e maestoso del Rio delle Amazzoni (la città è situata alla confluenza dei due grandi fiumi). Di fronte all’immensità della selvaggia foresta che abbraccia la città, la vita umana sembra farsi piccola piccola. Insomma, un caos lento, tipico della latinità tutta brasiliana. E in questo contesto gli azzurri dovranno cercare di battersi con i leoni inglesi: sperando che il fascino della città e l’amore della gente non faccia venir voglia ai ragazzi di Prandelli di godersi il panorama più che il manto erboso dell’Arena.
Manca poco all’inizio dei Mondiali: sabato prossimo l’ Italia giocherà a Manaus la prima partita della kermesse brasiliana. Ad attenderla un avversario ostico, l’Inghilterra: e come se non bastasse il blasone degli inventori del football a farci paura, ecco che i meteorologi ci assillano con le infauste previsioni che l’inverno amazzonico porta con sè. Clima tropicale, temperatura sui 30, umidità soffocante: ecco i veri nemici di Cassano e compagni all’alba del Mondiale 2014. Ma oltre al caldo, la città incastonata nella foresta pluviale ha molto da offrire.
No Comment