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L’Italia è un Paese in piena deindustrializzazione, ma il problema è il “giudizio” delle agenzie di rating

(di Carmelo Pennisi)* – Nell’alzata di scudi contro i giudizi non positivi sull’Italia da parte delle principali agenzie di rating, c’è un evidente voler mettere la testa sotto la sabbia, rifiutandosi di guardare la realtà: la situazione economica ed industriale italiana è grave al limite dell’irreversibilità, e non da oggi. Vedere da parte della stampa nostrana fare paragoni con Francia e Germania procura una certa tenerezza. Vedere la stessa stampa esaltarsi per il “fatturato del turismo” fa rabbia, perchè sposta improvvisamente il Paese da Francia e Germania mettendoci pericolosamente a confronto con le Maldive. Siamo un Paese in piena “deindustrializzazione”, in preoccupante ritardo tecnologico, con tra le più basse produttività del lavoro, con un debito pubblico gigantesco, e ci esaltiamo per i dati del turismo, settore a basso valore aggiunto tipico di altri mondi poco industrializzati. E nella narrazione diventata in un amen trasversalmente sovranista, ecco che i “cattivoni” diventano proprio gli specialisti delle agenzie di rating.

La favola dell’enorme risparmio privato posseduti dagli italiani, rimane una favola se parte di questo non viene messo in circolo nelle attività produttive. Oggi i risparmi degli italiani o sono investiti in prodotti finanziari, oppure in immobili (ovvero nel mattone, nda). Stesso dicasi per le nostre banche. Considerato che le agenzie di rating i dati del nostro Paese li hanno e li sanno analizzare, non si capisce perchè dovrebbero portare oltre”BBB” il giudizio sullo stato dell’economia italiana. Anzi, dovremmo ringraziare come non ci abbiano retrocesso a livello dei “junk investment grade”.

Potevano farlo, perchè la figura di palta che stiamo facendo con l’utilizzo dei fondi del PNRR è epocale. E non è un parte politica piuttosto che un’altra, a farla, ma il Paese intero. Siamo incapaci di fare riforme, disperdiamo risorse nel corso della spesa pubblica, non riusciamo a fare sistema nemmeno nel calcio.

Diciamo di puntare sul turismo, e poi abbiamo fatto fallire la nostra unica e storica compagnia di bandiera (l’Alitalia). Risorse umane specializzate e dinamiche si guardano bene dal venire a soggiornare dalle nostre parti. Siamo attrattivi per ruoli basici e dal basso costo del lavoro, certamente non per ingegneri o informatici. Siamo i primi nella retorica woke e propal, e per queste due cose ci si mena con le forze dell’ordine nelle piazze. Tutto questo mentre a Mirafiori non si fanno più automobili, molte imprese chiudono e i salari rimangono deflazionati.

Dovremmo predisporre l’economia del Paese alle startup, per rendere tutto più dinamico, invece a Roma, la Capitale, non ci si riesce a mettere d’accordo nemmeno sulla costruzione di uno stadio nuovo. Cosa dovrebbero vedere in noi, di così positivo, le agenzie di rating? Che facciamo tagli di spesa e aumentiamo le tasse? Quest’ultima cosa è nemica di ogni processo di crescita economica. Non riusciamo nemmeno a razionalizzare la spesa. Poi negli uffici delle agenzie di rating aprono quotidianamente i giornali italiani, e leggono come noi si sia entusiasti di essere le Maldive del Mediterraneo. Con mano stanca, quasi annoiata dal refrain, i funzionari aprono il dossier Italia e mettono “BBB” con outlook positivo, e che Dio ce la mandi buona!

 

 

 

 

  • sceneggiatore e giornalista sportivo
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