MAHOMES E GAROPPOLO: IL DESTINO DEL SUPER BOWL PASSA PER LE LORO MANI
Due franchigie che, pur non essendo al primo Super Bowl della loro storia, non si sono mai incontrate nella partita più importante dell’anno: sarà infatti la terza apparizione per i Chiefs (sconfitti nello storico Super Bowl I dai Green Bay Packers per 35-10 ma vittoriosi tre anni più tardi contro i Minnesota Vikings 23-7) e la settima per i Niners (con 5 anelli conquistati nell’arco di 14 anni dal 1981 al 1994 a fronte di un’unica sconfitta nel 2012 patita contro i Baltimore Ravens per 34–31).
Tra i tanti protagonisti del match, i più attesi dai tifosi delle due squadre e dai milioni di appassionati sono senza dubbio i quarterback titolari: Patrick Mahomes dei Kansas City Chiefs e Jimmy Garoppolo dei San Francisco 49ers.
“Mi piace forzare le giocate grazie al mio atletismo, lanciare lungo e creare gioco e pericoli in ogni singola azione”.
Così ha risposto Patrick Lavon Mahomes II, nato a Tyler (Texas) il 17 settembre 1995, quando in uscita dal college gli chiesero di descrivere il suo stile di gioco.
Dopo queste parole, non risultò difficile per gli addetti ai lavori inserirlo nella categoria dei “Gunslinger“, i quarterback che giocano un football spavaldo in qualsiasi situazione della partita, anche la più rischiosa, e che sono dotati di una capacità e precisione di lancio fuori dal comune, paragonabili a quelle di un giocatore di baseball.
D’altronde Patrick altri non è che il figlio primogenito di Patrick Lavon Mahomes I, ex giocatore di baseball tra gli anni ’90 e i primi del nuovo millennio come pitcher (ossia lanciatore) nella Major League, con qualche parentesi in formazioni importanti come i Boston Red Sox, i New York Mets ed i Chicago Cubs: anche da qui proviene l’insita capacità di Pat di lanciare con precisione palloni di qualsiasi forma e dimensione, tanto che avrebbe addirittura potuto seguire le orme paterne, rifiutando però la chiamata dei Detroit Tigers per dedicarsi esclusivamente al football.
Al termine di una carriera universitaria scintillante con i Texas Tech Red Raiders, viene ingaggiato al Draft NFL del 2017 come decima scelta dai Kansas City Chiefs di coach Andy Reid che, nonostante i pareri negativi degli esperti che ritengono il suo stile di gioco non adatto ai professionisti, vede in lui un potenziale fenomeno.
Grazie all’esperienza maturata nel baseball ed agli allenamenti agli ordini del padre, Mahomes ha sviluppato un’eccezionale capacità nel lanciare l’ovale senza la necessità di bloccare i piedi sul terreno per aiutarsi con il movimento del corpo: con la semplice forza del braccio riesce a scaraventare la palla anche a 50 yards di distanza e, grazie alla rapidità nella corsa in campo aperto, riesce a sfuggire con facilità ai tentativi di placcaggio degli avversari ed arrivare fino all’area di touchdown.
Dopo un anno in panchina come riserva del quarterback titolare Alex Smith, Reid decide che Mahomes è pronto per il grande salto e, ceduto Smith ai Washington Redskins, gli affida le chiavi della squadra: viene ripagato con una stagione da 50 touchdown e 5.097 yards a referto, numeri da record che gli valgono a soli 23 anni il titolo di giocatore offensivo dell’anno e, soprattutto, di MVP della lega (primo assoluto della storia dei Chiefs), il più giovane a conquistarlo dai tempi di Dan Marino, quarterback dei Miami Dolphins che per primo riuscì, nel 1984, a sfondare la barriera delle 5.000 yards di lanci in una sola stagione.
Un precedente tanto prestigioso quanto scomodo: Marino infatti è noto come “The greatest quarterback never to win a Superbowl”, non essendo mai riuscito a conquistare il trofeo più ambito da ogni giocatore della NFL: un’analogia che Mahomes, dopo aver trascinato i Chiefs alla prima qualificazione al Super Bowl dopo cinquant’anni, vuole a tutti i costi evitare.
Contrariamente allo spregiudicato gioco mostrato dai rivali di Kansas City, che trova nei lunghissimi lanci Patrick Mahomes la sua massima espressione, se i San Francisco 49ers sono riusciti ad approdare al Super Bowl lo devono principalmente alla loro ferrea difesa e ad un attacco fatto di molta corsa, pochi lanci ed una pressoché totale assenza di rischi.
A guidarli, un quarterback dal nome quasi impronunciabile per gli americani: James Richard Garoppolo, nato il 2 novembre 1991 ad Arlington Heights (Illinois) in una famiglia di emigranti italiani (i nonni erano originari di Vasto, in Abruzzo).
Il padre Tony passa giorno e notte a lavorare nelle periferie di Chicago per permettere ai suoi quattro figli di studiare e potersi costruire un futuro migliore: “Da lui ho imparato l’etica del lavoro, il sacrificio e la professionalità”, ha ricordato orgoglioso Jimmy G (questo il suo soprannome) in una recente intervista, “Non lo vedevo mai, si alzava all’alba e tornava a notte fonda, ma ha trasmesso a tutti noi i sentimenti e la cultura di una forte famiglia italiana”.
E gli sforzi di papà Tony vengono ripagati: l’atletico Jimmy, che fin da piccolo dimostra una grande passione per la palla ovale nonostante mamma Denise preferisse il soccer perché spaventata dai contrasti troppo violenti del football, può frequentare prima la Rolling Meadows High School e poi il college alla Eastern Illinois, due istituti non prestigiosi ma che permettono a Garoppolo di ricevere la chiamata per il Draft NFL 2014, nel quale viene chiamato come 62esima scelta dalla franchigia più famosa di tutta la lega: i New Englands Patriots.
Nei piani del leggendario coach Bill Belichick il giovane Jimmy dovrebbe crescere all’ombra del “Dio del football” Tom Brady, ormai prossimo a compiere 40 anni, per raccoglierne l’eredità: Tom Terrific però non ha alcuna intenzione di abdicare, continua ad essere in perfetta forma, a giocare e a vincere tutto.
Garoppolo si ritrova dunque di fronte a due alternative: continuare ad aspettare nei Patriots il ritiro di Brady oppure provare a ritagliarsi un ruolo da protagonista in un altro team; è questa seconda opzione a prevalere e nel 2017 si trasferisce a San Francisco, come nuovo quarterback dei Niners.
E’ la scelta giusta: Jimmy porta San Francisco alla vittoria in tutti i match che inizia da titolare e conquista i tifosi che grazie a lui sognano una nuova “Golden Age” come quella vissuta negli anni ’80 quando la squadra della Baia, guidata in campo da un altro quarterback italo-americano come il leggendario Joe Montana, riuscì ad aggiudicarsi ben quattro Super Bowl in otto stagioni.
Il destino però non è dello stesso avviso: nel terzo match del 2018, proprio contro Kansas City, un movimento innaturale del ginocchio sinistro gli causa la rottura del legamento crociato e sancisce la fine anticipata della sua stagione.
Ed è proprio nelle ore immediatamente successive all’infortunio che Garoppolo riceve una visita inaspettata: “Ero in ospedale in attesa dell’esito dei controlli e Patrick Mahomes venne a trovarmi; non ci conoscevamo al di fuori del campo ma voleva sapere come stavo, mostrò interesse per le mie condizioni di salute e mi fece coraggio: è stato un gesto speciale, che non ho dimenticato”.
E adesso, a poco più di anno di distanza da quel giorno, si rincontreranno.
Non più in una stanza d’ospedale, ma sul campo e nella partita più importante, pronti a guidare le loro squadre ed a sfidarsi per la vittoria del primo indimenticabile titolo.
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