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Marketing – Il “caso” Kakà-Manchester city

Certo, non si può dire che la stampa inglese sia meno spregiudicata dei dirigenti del club di oltre Manica: giacché confonde il dio denaro (quello dello sceicco di Abu Dhabi) con il Dio vero. Siccome… dubitiamo fortemente che i giornalisti di sua maestà abbiano canali privilegiati per avere notizie di prima mano dall’aldilà preferiamo lasciarli alla loro idiota strategia di suggestione fatta di miscele tra sacro e profano.

Noi restiamo coi piedi ancorati per terra, dunque, al profano. E questa vicenda di Kakà è tutta una questione di soldi valutata nel suo aspetto finanziario e non economico: viene trattata con una banalità sconcertante. Torniamo, dunque, su un argomento del quale ci siamo occupati nei giorni scorsi: giacché la girandola di cifre (dai 100 ai 150 milioni) ha scatenato le fantasie di tutti. C’è chi ha persino contato, tra l’altro, il numero di scatole di fiammiferi che si potrebbero comprare con quelle cifre facendo ricorso ad uno schema di suggestione comparativa in voga nel giornalismo datato tra gli anni Ottanta e i Novanta. (Cosa poi se ne farebbero di tutti quei fiammiferi visto che hanno inventato gli accendini è tutto da spiegare…) Ma cerchiamo di capire quanto vale Kakà per il Milan, al di là dei sensazionalismi della cronaca sportiva.

Quello che tutti stanno considerando è il valore “tangibile” di Kakà: 1. una cifra così alta non è mai stata offerta per alcun calciatore; 2. con la stessa cifra il Milan potrebbe comprare altri tre-quattro calciatori di gran nome; 3. così il Milan avvierebbe di fatto la rifondazione della squadra .

Un’analisi tanto lineare quanto elementare e limitata che non tiene conto dei valori intangibili di cui una “marca” deve tenere conto. Il Milan è una “marca” e Kakà è il suo top di gamma. L’amore dei tifosi per Kakà e l’amore dei tifosi per il Milan si mescolano in una soluzione che si riverbera in termini economici (reticolari, come vedremo e non lineari) assai significativi per la società rossonera.

Come la prenderebbe adidas sponsor tecnico del Milan se i rossoneri cedessero uno degli uomini di punta (a sua volta uomo-adidas) ad una società che non ha peso nelle competizioni internazionali e che peraltro ha Le Coq Sportif come sponsor tecnico?
Kakà è uno di quei prodotti che più di tutti gli altri ha avuto un peso sulle attività di comunicazione e di commercializzazione dei gadget rossoneri, ma soprattutto è diventata la bandiera che da sola ha tenuto in piedi l’amore dei tifosi per la società anche in anni in cui non sono stati raggiunti risultati lusinghieri. Se il Milan è un “lovemark” (un marchio, come spiegano le teorie di Kevin Roberts, che viene scelto per amore non per bisogno), non lo deve certo a Berlusconi o a Galliani.

In questa vicenda non è in discussione il solo ridimensionamento tecnico (e già non sarebbe poco) ma il danno che ne avrebbero le attività di marketing, di comunicazione e di relazione con gli oltre 5 milioni di tifosi che seguono il Milan. Alcuni tifosi illustri (influenzatori, capaci cioè di indicare delle scelte) hanno già minacciato di cambiare club, di cancellare gli abbonamenti a Milan channel, di buttare l’abbonamento. Questo già rappresenta un danno del quale Galliani farebbe bene a rendersi conto in fretta, invece, di continuare a tacere. O nega o spiega.

Il Milan, infatti, vanta nel suo database più di 680mila contatti (che in un anno sono stati raggiunti da 14 milioni di comunicazioni commerciali) e 70 azioni di co-marketing tra la società e i partner. Il Milan quest’anno ha raggiunto il record assoluto di sponsorizzazioni con la quota massima per ogni categoria. La squadra dispone di uno sponsor ufficiale (bwin), un tv sponsor (Sky), uno sponsor tecnico (adidas, appunto), un gold sponsor (Dolce&Gabbana), 5 top sponsor istituzionali, 12 sponsor istituzionali e 26 fornitori ufficiali: ecco la rete. E la filosofia del club è stata quella di creare un’immagine positiva del marchio andando oltre i risultati sportivi (il prodotto), orientando la sua attività "reticolare" verso il mercato (anche con le attività di social-marketing della Fondazione Milan).
I conti, dunque, non tornano. Non quelli di chi si fa suggestionare da un’offerta definita “indecente”. Un autorevole giornalista come Mario Sconcerti ha scritto sul Corriere della Sera con la consueta disinvoltura del giornalismo delle cronache sportive che a quella cifra non si può non vendere: sciocchezze.

La vicenda di Kakà non è una “banale” questione di calciomercato e va vista in altra ottica. Non vorremmo trovarci nei panni di Laura Masi (direttore commerciale e marketing del Milan) e in quelli di Mauro Tavola (direttore vendite) se davvero il Milan cederà il fuoriclasse brasiliano. Altro che colpo del secolo: sarebbe un pessimo affare che rimeterebbe in discussione molte consolidate relazioni.
A meno che il Milan non stia coprendo in maniera discreta un’improbabile frattura nei rapporti col giocatore o non stia cambiando radicalmente le sue strategie. Galliani in questi anni ha ripetuto sino alla noia che “il Milan non vende le stelle”. Sino ad oggi i 5 milioni di tifosi rossoneri (e anche quelli avversari) gli hanno creduto.
Questa l’analisi vista dal lato Milan. Dal lato Kakà sono in gioco la sua immagine e la sua identità. Se passerà al Manchester City diventerà un giocatore come tutti gli altri. Dovrà smetterla di sollevare la maglietta (per far leggere “Io appartengo a Gesù”), alzare gli occhi al cielo e giurar amore eterno ai colori rossoneri. Sarà diventato un mercenario come quasi tutti gli altri. Il suo conto in banca sarà ancora più grande, ma la sua immagine sarà devastata. Giacché chi tradisce una volta tradisce anche una seconda.

link: Puntonet

“Dio è con lui”, è una delle buone ragioni indicate da un giornale inglese per giustificare l’acquisto di Kakà da parte del Manchester City.

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Marcel Vulpis

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