Serie A - Serie B

Marketing – Voglia di stadi in Italia e di fare affari all’estero

30 dicembre 2012, ore 09.00 del mattino. Negli studi Disney di Orlando in Florida viene firmato in diretta tv l’accordo tra il presidente della AS Roma James Pallotta e l’imprenditore Luca Parnasi per la realizzazione dello stadio di  proprietà. Il luogo prescelto è l’ippodromo di Tor di Valle, periferia sud occidentale di Roma. Un colpo che consentirebbe ai giallo rossi di divenire la seconda società italiana dopo la Juventus ad avere un proprio impianto.  La proprietà americana della Roma, però, ha dovuto subito fare i conti con diversi ostacoli. In primis i problemi ambientali. Il piano regolatore esistente, infatti, prevede nella zona di Tor di Valle un massimo di cubature di 14.000 metri cubi, assolutamente non sufficienti alla costruzione di un impianto polifunzionale con stadio e derivati vari ( negozi, centri commerciali), che ne richiederebbero quasi un milione. Ma la botta principale al progetto giallo-rosso avviene lo scorso 17 dicembre. Un emendamento del Governo al patto di stabilità dà l’ok per finanziamenti che consentono solo l’ammodernamento degli impianti già esistenti. Nessun fondo, quindi, per chi vuole costruire ex novo. Una decisione che potrebbe mettere un freno alla ventata di investimenti stranieri nel mondo del pallone italico e che non fa certamente piacere a Eric Thohir, magnate indonesiano, dal 15 novembre scorso proprietario dell’Inter. L’imprenditore asiatico aveva già incontrato il governatore della Lombardia Roberto Maroni, per parlare delle aree localizzate nella zona di Rho, che diventeranno edificabili dopo l’Expo 2015. E in una di quelle aree, Thohir avrebbe voluto costruire la nuova casa della ” Beneamata”, contando anche sui fondi della legge sugli stadi. Invece è arrivato il no del governo Letta. Uno smacco che si aggiunge ai problemi di natura strettamente sportiva (in particolare riferiti all’ultima sessione di calcio mercato) che Thohir sta affrontando in questi primi mesi da numero uno neroazzurro.

Per un Pallotta e un Thohir che, sebbene tra mille difficoltà stanno provando a farsi largo nel pianeta del calcio italiano, ci sono diversi presidenti di casa nostra che guardano e investono all’estero. Chi per costruire una serie di “satelliti” attorno alla propria attività principale in Italia, chi invece per lasciare definitivamente la serie A. E’ il caso di Massimo Cellino, attuale proprietario del Cagliari, che ha acquistato il 75% del Leeds United, società inglese militante nella Championship (l’equivalente della nostra serie B), per una cifra che oscilla tra i 50 e i 60 milioni di euro. Un acquisto che Cellino ha accompagnato anche con l’annuncio di effettuata vendita del “Casteddu” a non meglio precisati acquirenti.

Per l’imprenditore cagliaritano si apre un nuovo scenario grazie al quale potrebbe ripercorrere le gesta dei suoi predecessori Pozzo e Briatore, conquistando la massima divisione con il suo nuovo team. Il patron dell’Udinese c’era riuscito in Spagna, portando il Granada in soli due anni dalla Liga Adelante alla 1°Divisione, mentre l’ex direttore sportivo della scuderia Benetton (Formula 1) aveva compiuto la stessa impresa in Premier League con i Queens Park Rangers.

Già, la Premier League, la nuova Mecca del calcio internazionale. Cellino è l’ultimo della fila degli imprenditori che hanno attraversato la Manica. Basti pensare al russo Abramovich (Chelsea), all’americano Glazer (Manchester United). E allo sceicco Mansour, da qualche anno padrone del Manchester City. Non si può dare loro torto. La Premier League si sta imponendo come vero e proprio modello da seguire. Gli stadi sono di proprietà esclusiva delle società. E non sono “cattedrali nel deserto” da aprire una volta ogni quindici giorni per due ore. Gli impianti sportivi “made in England” sono aperti h24, sette giorni su 7, con negozi, centri commerciali e servizi per persone di tutte le età. Dal punto di vista strettamente sportivo, poi, non esistono barriere tra campo e spalti (anche grazie alle fermezza della politica inglese contro il fenomeno della violenza negli stadi). Un dato per tutti: il 94% dei biglietti disponibili viene venduto. Nonostante un costo non proprio alla portata di ogni tasca.

Insomma, il modello Premier League rappresenta un business che fa girare milioni di euro, generando intorno all’evento calcistico un indotto commerciale fatto di spettacolo e merchandising. Se fosse imitato in Italia, potrebbe attrarre interessanti investimenti imprenditoriali. Potrebbe. Spetta a chi di dovere fare in modo che il condizionale possa divenire indicativo.

 

di Ilenia Capilongo Broussard 

Anastasia Fedele

Serena Ferro 

Giuseppe Pucciarelli

Valentina Soria 

Michele Ungolo

Stadi di proprietà. La formula magica per far sì che il calcio italiano rimanga in piedi e non vada incontro ad un inesorabile default è sempre quella. Lo hanno capito in molti. Tra questi james Pallotta e Erick Thohir, i nuovi proprietari di Roma e Inter, che hanno portato in Italia i loro capitali anche e soprattutto per dare alle loro società delle nuove case moderne e confortevoli. Purtroppo chi sembra non averlo capito è la politica italiana.

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