Media – Mario Pescante a 360° su “18” e “Futbol” magazine
"Mario Pescante
una vita dedicata allo sport"
Intervista di FRANCESCA ASCOLI SCOTTI
“Ha dedicato la sua vita al mondo olimpico nazionale e internazionale, sostengo quindi che lo sport italiano dovrebbe dir lui grazie”. Gianni Petrucci, Presidente del CONI.
“Mario Pescante è un ambasciatore dello sport italiano e mondiale. Oltre all’elezione alla vice presidenza del CIO, vorrei ricordare la nomina a osservatore permanente del Comitato olimpico internazionale, il primo della storia, presso le Nazioni Unite. Al CIO è stato conferito lo status di osservatore e mi fa piacere che per questo successo dello sport internazionale sia stata decisiva l’iniziativa di un italiano”. On. Prof. Rocco Crimi Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega allo Sport.
"Mario Pescante è da sempre punto di riferimento dirigenziale dello sport italiano.
I recenti riconoscimenti l’elezione a vicepresidente del CIO e il suo ruolo quale rappresentante del movimento olimpico presso le Nazioni Unite- certificano la considerazione per la sua opera.
A lui, un grazie da parte di tutto il mondo del calcio".
Giancarlo Abete Presidente FIGC.
“Plaudo all’elezione di Mario Pescante alla Vice Presidenza del CIO. A lui esprimo a nome di tutto il golf italiano un sentito ringraziamento”. Franco Chimenti, Presidente della Federazione Italiana Golf.
Mi accoglie nel suo studio presso la Camera dei Deputati. Vi sono foto amate, dei suoi viaggi e dei suoi ricordi importanti. Foto del viaggio in Afghanistan, foto di quando partecipò all’insediamento del Comitato olimpico palestinese con Arafat, ancora, foto con Massud, il “leone del Panshir”, lo stesso morì sette giorni dopo colpito da un Kamikaze. Un’altra foto scattata proprio da lui, in occasione dell’inaugurazione d’un campetto di calcio a Kabul, dove si vede un militare armato di tutto punto che gioca a pallone con un bambino afgano. Mi dice: “Non è questo un messaggio di pace fantastico, uno di quelli che non serve neanche spiegare?”.
Ha un braccio ingessato a causa di un incidente avuto in Mozambico in Africa dove si trova sua figlia, impegnata in prima linea nella Cooperazione Internazionale del Ministero degli Affari Esteri.
Spiega: “Ha seguito le mie orme, è un po’ una giramondo. È lì da anni con tutta la famiglia. È impegnata per realizzare programmi di assistenza nelle zone depresse del Mozambico finanziati dal nostro Governo”.
Lo staff del Presidente Pescante nel suo ufficio della Camera dei deputati è sorridente; l’atmosfera quella d’una “famiglia” al lavoro, semplice e senza spocchia. Più di una volta desidera avvertirmi, durante l’intervista, che sta terminando di esprimere il concetto. Lo rassicuro di poter parlare quanto più desiderava perché al suo intervento è stato dato tutto lo spazio che ovviamente meritava, anche considerando che si stava, appunto, lavorando per una doppia intervista pubblicata nelle due patinate riviste sportive, edite Scotty&Partners: 18 Golf&LifeStyle e Futbol. Gli confido che considero questo nostro colloquio, uno dei più interessanti sia sul profilo professionale, sia sotto il profilo umano. L’umiltà di quest’uomo, la sua cordiale accoglienza, sono le cose che più mi hanno colpita. Non sfugge nulla alla sua attenzione. Simpaticissimo: dice una cosa e ne pensa altre tre. E’ di certo un comunicatore delle cose “buone”, alcuni lo chiamano “Super Mario”. Viene dal mezzofondo, dalla corsa. Dice: “Nell’atletica battere l’avversario non è l’obiettivo primario, l’importante è misurarsi con il proprio primato personale”. Simpatizza sia per la Roma che per la Lazio, ma fin da giovane non ha mai avuto una squadra di calcio di riferimento essendo un patito di atletica, appunto. Giocava a tennis al Foro Italico con Eriksson, quando lo svedese era allenatore della Lazio e pertanto definirlo un “laziale” non lo disturba. Considerando quale è e quale sarà il suo impegno in “trincea” nel prossimo futuro, ritengo inutile fare l’elenco delle nomine d’una splendida vita professionale e qui daremo importanza a quello che sono i suoi “ori” recenti.
Il Comitato Olimpico Internazionale, durante la Sessione di Copenaghen 2009 ha riconfermato alla Presidenza del CIO Jacques Rogge e ha eletto Mario Pescante, membro dello stesso dal 1994, come Vice Presidente, grazie al suo impegno sempre attivo e costante soprattutto nel settore dei Rapporti Internazionali del CIO. Questo avviene, proprio quando, con trepidazione, in molti si attendeva, ma altrettanti ne erano quasi certi, di ritrovare anche il golf annoverato fra le 28 discipline olimpiche, dopo più di un secolo d’assenza. Lo sport nazionale è orgoglioso di questo risultato, visto che nell’ambito CIO mai nessun italiano è riuscito a raggiungere una carica così prestigiosa.
Rimanendo ancora in tema di “vertici”, l’On. Mario Pescante, numero due del CIO, dal 2010 è anche Membro osservatore permanente presso l’Assemblea delle Nazioni Unite con il compito di rappresentare il CIO nell’ONU, coronando una brillante carriera dirigenziale, iniziata trentacinque anni fa nel mondo dello sport. Attualmente ricopre la carica di Presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea della Camera dei Deputati.
D: Lei è anche Presidente della Commissione per le Relazioni Internazionali del CIO. Quale la politica adottata per lo sviluppo dei progetti e la cooperazione d’intesa con gli organismi internazionali?
R: Credo sia opportuno, soprattutto identificare i principali organismi internazionali con i quali collaboriamo. Il CIO ne ha privilegiati due: l’Unione Europea e l’ONU.
In sede comunitaria siamo impegnati da anni per veder riconoscere dall’Ue un ruolo privilegiato allo sport, in particolare affermandone la sua specificità e autonomia. Infatti, fino ad oggi, le norme dell’Ue nate per disciplinare settori diversi, sono state applicate allo sport rigorosamente senza tener conto, appunto, delle sue caratteristiche peculiari. È sufficiente fare l’esempio delle conseguenze negative, per il mondo dello sport ed in particolare per i suoi vivai, causate dalla cosiddetta “sentenza Bosmann” che ha sancito la libera circolazione degli atleti professionisti nel rispetto del principio generale che prevede la libera circolazione di persone e servizi nell’ambito dei Paesi membri. Il risultato è stato quello di far cadere tutte le limitazioni previste dalle Federazioni nazionali e internazionali sul numero degli atleti provenienti da Federazioni estere da tesserare.
Sono stati coinvolti praticamente tutti gli sport di squadra, anche se, in particolare, è il calcio che ne ha patito i danni maggiori. Il fenomeno è anche visibile nel nostro campionato di basket, ove si registra una straripante presenza di atleti stranieri extracomunitari, specialmente statunitensi, ai quali si aggiungono giocatori provenienti da Paesi Ue, per i quali non è prevista alcuna limitazione di tesseramento. Assistiamo, pertanto, alla scomparsa dei nostri vivai, all’assenza di giocatori nazionali nei maggiori club e, al fallimento della nostra nazionale di basket nei principali eventi internazionali.
Il problema non riguarda ormai solo il nostro Paese, dove la squadra che si è aggiudicata il campionato nazionale, cioè l’Inter, spesso scende in campo senza avere un solo giocatore italiano schierato in formazione. Il fenomeno ormai coinvolge anche gli altri Paesi, dove il calcio è più diffuso: Inghilterra, Francia, Spagna e Germania. Ebbene, da anni sono impegnato con la Commissione Rapporti Internazionali del CIO per cercare di trovare una soluzione giuridica che adegui le norme comunitarie alle particolarità del mondo dello sport.
Durante la Presidenza italiana dell’Ue, nella mia veste di Sottosegretario di Stato con delega allo sport, nell’ottobre del 2003, riuscii a far inserire nella bozza di Costituzione europea un articolo che sanciva la specificità e l’autonomia dello sport, aprendo la strada ad alcune soluzioni di compromesso, ad esempio quella di mantenere libero il tesseramento di atleti extracomunitari, ma limitandone l’impiego sui campi di gioco. La Costituzione europea rimase congelata, a causa dei risultati negativi dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi ma grazie ad una pressante azione di sensibilizzazione si è riusciti anche ad inserire l’articolato nel nuovo Trattato di Lisbona entrato in vigore nel dicembre 2009. Siamo ora impegnati con il CIO e le principali Federazioni Internazionali a rendere operativo il riconoscimento comunitario delle caratteristiche peculiari dello sport, in particolare per quanto riguarda la limitazione degli atleti Ue da schierare in campo. Sono in corso contatti sia con la Presidenza di turno spagnola, sia con il Commissario Ue allo sport che, con lo stesso Presidente del Parlamento europeo.
Un altro problema che riguarda le invasioni di campo comunitarie nei confronti dello sport è rappresentato dalle sentenze della Corte di Giustizia europea. È sufficiente fare un esempio per sottolineare i danni che discendono dal sovvertimento di decisioni della giustizia sportiva. Relativamente al doping, la Corte ha sentenziato che due anni di squalifica comminati dalle Federazioni Internazionali, nei confronti di atleti “positivi”, non tengono conto del rispetto del principio di gradualità della pena. In tal modo si rischia di attenuare la deterrenza delle sanzioni sportive e, nello stesso tempo, di creare una differenziazione tra le sanzioni riguardanti gli atleti appartenenti ai Paesi comunitari ed il resto del mondo dello sport.
D: Quale Membro permanente dell’Assemblea Generale dell’Onu, come primo osservatore in rappresentanza del CIO presso le Nazioni Unite a New York, quali sono in quest’ambito gli obiettivi e i progetti di pace?
R: Con le Nazioni Unite sono stati concordati progetti diversi in occasione dell’incontro dello scorso marzo a New York con il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
Il primo riguarda interventi di solidarietà nei campi dei rifugiati del Darfur, dove tristemente, l’esistenza quotidiana dei giovani può essere paragonata a un “girone dantesco”, direi però identificabile con “l’inferno”.
Certo, lo sport da solo non può sicuramente risolvere il problema della sopravvivenza di questa sofferente gioventù ma, sicuramente, per i bambini che vivono l’allucinazione di questi campi e che spesso conoscono la prostituzione giovanile, la droga e il reclutamento militare da parte delle bande che vi dilagano, lo sport può dare un contributo per migliorare la qualità della loro vita. Offrire loro la possibilità di giocare grazie allo sport, organizzando la pratica sportiva, anche con il coinvolgimento dei Campioni dello sport, come testimonial di difficoltose realtà, potrebbe portar loro un contributo per lo sviluppo, attraverso un alto messaggio di civiltà ed anche esser motivo di sollievo per questi giovani dimenticati.
Il secondo progetto riguarda un programma d’interventi nelle aree geografiche ove operano le truppe di peacekeeping dell’ONU, con lo scopo d’associare alle uniformi militari anche significativi esponenti dello sport.
Lo scorso 11 giugno è stato firmato un “Memorandum of Understanding” tra il Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini, il Governo iracheno, il CIO, il CONI e l’Eni, che prevede la costruzione di impianti sportivi di base in Iraq, vicino alle scuole, affinché gli studenti possano intrattenersi a giocare e praticare sport. Ce lo ha insegnato Don Bosco attuando questo modello di pratica sportiva nelle vicinanze delle parrocchie. Tale progetto è stato da me sperimentato in Afghanistan ed ha avuto un grande successo.
Il terzo ambito di attività, al quale da tempo stiamo lavorando insieme al Presidente Rogge, è quello di cercare di riavvicinare, grazie allo sport, i giovani israeliani e palestinesi, proprio partendo dal presupposto che molte delle incomprensioni che contrappongono Paesi e popoli dipendono dalla mancanza d’incontro e di dialogo. Il nostro intento è di mettere in contatto le due comunità organizzando una Coppa dell’Amicizia, per ora limitata a incontri di calcio femminile tra le rappresentative della Palestina e di Israele. Questo terzo progetto, è ovviamente ambizioso e, per essere realizzato avrà ancora bisogno di non poco tempo e di molta disponibilità da parte delle Autorità locali.
D: Quanta emozione, orgoglio, quanto patriottismo per una nomina, mai ottenuta prima da altri dirigenti sportivi italiani sul profilo internazionale, alla Vicepresidenza del CIO?
R: Emozione sicuramente. Orgoglio anche, patriottismo non direi, perché questa è una carica che va svincolata dalle appartenenze nazionali. Siamo membri del CIO nel nostro Paese e non rappresentanti del nostro Paese nel CIO. Devo ammettere che sono particolarmente lusingato, considerando che non è usuale per gli italiani conquistare posizioni internazionali d’alto rilievo.
Come nello sport, anche in altri settori noi facciamo fatica ad emergere in campo internazionale; è per questo motivo che sono particolarmente soddisfatto del risultato ottenuto in un’elezione non poco combattuta, fra l’altro in una Sessione del CIO molto particolare, quella di Copenhagen, che ha visto il sorgere di maggioranze inusuali, che tra l’altro hanno consentito a Rio de Janeiro di vincere la battaglia per l’assegnazione dei Giochi Olimpici del 2016.
D:«La sua mente è “internazionale” e il suo ragionare è volto verso tutti i Paesi, come se nutrisse un pensiero filosofico-sociale in merito allo sport, come se Lei si sentisse “cittadino del mondo”».
R: È normale che mi senta cittadino del mondo, ma è anche certo che amo l’Italia e cerco, laddove posso portare un’immagine positiva del mio Paese, di riuscirvi.
Nel caso del riconoscimento dello status di Osservatore permanente all’ONU da parte del CIO, ho operato in stretto contatto sia con il Ministro Frattini che con l’Ambasciata Italiana presso l’ONU e il risultato ottenuto ha portato prestigio alla nostra diplomazia.
Erano venticinque anni che il CIO attendeva di ottenere lo status di Osservatore. Il vanto, per così dire, di questo risultato può essere sicuramente rivendicato dal nostro Paese. Dal mio Paese.
Per la prima volta il Sudafrica ha guadagnato e ha visto quindi, approdare i Mondiali di Calcio. Quali le sue osservazioni per la più importante manifestazione calcistica che ha luogo in un continente che Lei conosce da vicino?
Lei ha visto il film “Invictus”?
Invictus è la storia dell’allora Presidente del Sudafrica, Nelson Mandela, il quale dopo l’abbattimento dell’apartheid, come gesto di riconciliazione con la minoranza bianca, andò allo stadio a fare il tifo per la squadra di rugby del Sudafrica, composta con l’eccezione di un solo nero, Chester Williams, esclusivamente da bianchi: i famosi “Springboks”, spesso accusati di razzismo. Era il 1995 e Mandela invitò allo stadio migliaia di sudafricani di colore, anche se non conoscevano il gioco del rugby. Tutti parteciparono con straordinario entusiasmo al campionato e festeggiarono insieme la vittoria della propria squadra. Una vittoria di giocatori “bianchi” e di tifosi “neri”. Oggi la stessa squadra schiera molti giocatori di colore.
Ho fatto questa premessa, perché parlando di calcio e, in merito alla scelta del Sudafrica, per ospitare l’edizione 2010 dei Mondiali, a mio avviso Joseph Blatter ha preso una decisione molto coraggiosa. Gran parte della stampa sosteneva che fosse una follia andare in Sudafrica, a causa della criminalità, dell’inadeguatezza delle strutture, degli stadi, della difficoltà di vendere i biglietti e quant’altro. Queste critiche, queste prevenzioni sono state oggi spazzate via dai fatti: il Sudafrica ha vinto la sua battaglia.
D: Olimpiadi 2016: Rio de Janeiro, sicuramente una città difficile. Chi la conosce lo sa. Le scorse Olimpiadi di Pechino, Beijing 2008, presso la meraviglia architettonica dello Stadio Nido d’Uccello, sono state frutto di molte aspre polemiche. Questa esperienza che tanto ha fatto discutere la stampa e le televisioni di tutto il mondo, sarà stata, si spera utile, a molti dei “famosi vertici” di tutti i Paesi del mondo. Io credo, che questa nuova sede riesca a far tesoro di una così grande occasione; quella di ospitare un Evento eccezionale per tradizione, che non dovrebbe più essere strumentalizzato per quello che avviene dietro le quinte, o da una lotta ai risultati, né minimizzato ad un mero fenomeno sportivo agonistico. Cosa pensa in riguardo?
R: Una manifestazione così imponente agli occhi del pubblico mondiale, dovrebbe comunicare in primis il suo reale e profondo significato, storicamente radicato in tale cultura, che è anche e soprattutto quello di esaltare la fratellanza tra i popoli. Oggi si sta ponendo il problema se le Olimpiadi abbiano deviato dai suoi ideali originari assumendo caratteristiche di eccessiva grandiosità, quello che noi chiamiamo il fenomeno del “gigantismo”.
Spesso per ospitare le Olimpiadi, le diverse città, cito Atene come esempio, costruiscono strutture che diventano veri e propri monumenti nel deserto.
Credo che l’esempio migliore al quale fare riferimento dovrebbe essere Barcellona. Una città che ancora oggi si avvale di tutto quello che per le Olimpiadi era stato realizzato: tutto a dimensione d’uomo. La degenerazione del “gigantismo” si manifesta quando alcuni Paesi utilizzano i Giochi per farne una “vetrina”, ma nel momento in cui terminano le Olimpiadi, i vetri di quella vetrina si appannano.
E così come Barcellona che a suo tempo ha risanato un’area degradata, trasformando la città, dal un punto di vista urbanistico, anche Londra per il 2012 sta riadattando un intero quartiere, quello oggi destinato alla parte commerciale, per la gestione portuale con gli “stockage”: i grandi capannoni tipici dei primi anni del ‘900 e, dove nascerà, appunto, un grande Parco Olimpico.
In merito alle Olimpiadi del 2016 spero che Rio de Janeiro non ceda alla tentazione di dimostrare ad ogni costo d’essere un Paese che si sta affermando nella comunità internazionale.
Il progetto del Brasile è ambizioso. Mi auguro tenga conto del fatto che non ci si può permettere il lusso di realizzare strutture “eccessive”.
D: Dopo un ballottaggio con la città di Venezia, Roma, la Capitale, è oggi la candidata italiana in rappresentanza del nostro paese per le Olimpiadi del 2020. Quali le sue previsioni su Roma proiettata verso un Evento di tali dimensioni?
R: Se Roma si aggiudicasse le Olimpiadi, assisteremmo ad un ritorno alle dimensioni più umane dei Giochi, visto che proprio a Roma si è svolta l’ultima Olimpiade in cui si è privilegiato lo “spirito olimpico”. L’immagine più caratteristica di Roma ’60 è rappresentata da Abebe Bikila che vinse la maratona a piedi scalzi.
Sarà un’impresa molto difficile poiché anche se non sono state ufficializzate altre candidature, si profilano avversari di tutto rispetto quali: Madrid, Tokyo e probabilmente, ancora, il Sudafrica.
Non posso far altro che augurarmi che la nostra sia una candidatura forte, compatta e condivisa da tutto il Paese. I miei più sinceri auguri sono rivolti a Roma per il 2020.
D: Il golf sta vivendo un momento esaltante e i meriti sono riconducibili essenzialmente a due fattori: l’esser stato riconosciuto disciplina olimpica e i successi del nostro giovanissimo, ma già grande campione, Matteo Manassero, che in tema di record ha superato nella 74ª edizione del Masters Tournament, uno dei più importanti tornei del mondo, il favoloso Tiger Woods; ha superato “il taglio”, ha vinto la British Amateur segnando, anche in questo caso, il record di golfista più giovane.
Detto questo, certo è, che da oggi il golf e la sua Federazione potranno contare sul sostegno d’altri nuovi punti di riferimento. Ponendo la giusta e dovuta attenzione anche ai fratelli Molinari, professionalmente stabili nel Tour Europeo, considerando i risultati raggiunti, guardando ad altri nuovi, promettenti campioni italiani, sia nel maschili che nel femminile e, in considerazione del numero dei praticanti oggi esistenti in Italia, lei crede che il golf meriti una promozione mirata che consenta, dunque, ai nostri atleti di poter conseguire ad una “concreta” professionalità?
R: E’ certo che con il riconoscimento di disciplina olimpica, il golf, ed in questo caso quello italiano, potrà esplodere, registrando sicuramente un forte aumento del numero dei tesserati ed una conseguente diffusione di nuovi campi.
In questi ultimi tempi si sta diffondendo un’immagine sempre meno elitaria del golf e nonostante non si possa definire propriamente “popolare”, oggi è diventata uno sport molto più diffuso e il raggiungimento dei 100.000 tesserati ne è una limpida testimonianza.
Il Presidente della FIG, Prof. Franco Chimenti, si è molto battuto per il tesseramento libero e bisogna riconoscergli di aver dato un’importante svolta in questo senso, invertendo il trend che il golf registrava ormai da decenni.
Recentemente è stato approvato il disegno di legge promosso dal Ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla, volto al rilancio del golf in Italia e che faciliterà la costruzione di campi da gioco con annesse strutture turistico ricettive.
Il nostro Paese dovrebbe approfittare di questa nuova possibilità per far sì che il golf possa diventare un volano economico per il nostro settore turistico.
La crescente diffusione di questo sport è stata resa naturalmente possibile anche grazie ai nostri atleti e alle loro vittorie. Infatti, il golf è stato riconosciuto come disciplina olimpica proprio in coincidenza delle imprese di alcuni atleti italiani, quali ad esempio i fratelli Molinari e Matteo Manassero, che ho avuto il piacere di conoscere lo scorso ottobre a Copenaghen. Ammetto d’essere un grande sostenitore del giovane Manassero; lo considero brillante e promettente e non solo in ambito golfistico. A soli diciassette anni è riuscito a conquistare la simpatia di tutti, sia per l’educazione, sia per la proprietà di linguaggio che per l’alta padronanza del suo inglese.
D: Si cimenterà “mai” nel golf?
R: Ho ancora qualche velleità tennistica, ma..mai dire mai.
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