Mondiale 2014 – L’evoluzione dei palloni di gioco. Brazuca oggetto dei desideri dei calciatori in Brasile.
Nella prima edizione del mondiale (Uruguay 1930), per esempio, si giocò con palloni cosiddetti “d’epoca”. Per poter gonfiare, la sfera, quest’ultima veniva ricoperta da 18 strisce di cuoio (legate tra loro da stringhe di cotone). Queste stringhe durante i match giocati sotto la pioggia diventavano taglienti come coltelli. Colpire la sfera di testa, inzuppato d’acqua (quindi particolarmente pesante) era molto pericoloso e spesso i calciatori in campo si procuravano ferite ed ematomi.
Un passo in avanti fondamentale, sotto il profilo dell’evoluzione del pallone, avvenne nei primi anni Cinquanta. La Select, ditta danese ancora oggi attiva nella produzione di palloni per lo sport, cominciò a commercializzare un modello inedito, destinato a modificare la storia di questa disciplina. Per migliorare la rotondità, il rivestimento venne formato da 32 pannelli di cuoio, divisi in 12 pentagoni e 20 esagoni, creando di fatto una forma geometrica nota come “icosaedro troncato”.
Da esattamente quarant’anni e per dodici edizioni consecutive, l’Adidas fornisce i palloni per i Mondiali di calcio. Per esempio il Telstar degli anni ’70 (fu il primo mondiale ad essere trasmesso in tv), costituito da 32 pentagoni in bianco e nero; il Tango che vide il trionfo dell’Italia a Spagna ’82; l’Atzeca di Messico ’86 (primo pallone “sintetico”) e l’Etrusco per Italia ’90 (aveva come particolarità una serie di disegni: tre teste di leone in ogni esagono).
Da Francia ’98 in poi i palloni hanno abbandonato i tradizionali bianco e nero diventando colorati; un ulteriore problema, a detta dei portieri, perché il colore crea comunque problemi visivi a chi deve parare. In Giappone-Corea è stato lanciato Fevernova, diventando subito popolare per essere totalmente “dorato” e in schiuma.
Nel 2006, in occasione del mondiale di Germania, Adidas ha debuttato il “Teamgeist”, un pallone composto solo da 14 pannelli, per scendere poi ad otto in SudAfrica con il “Jabulani”, realizzato con la tecnologia “grill ‘n groove”, per migliorare la precisione dei tiri e il controllo della sfera. Il disegno di questo pallone era composto da 11 colori; rappresentava lo stadio della finale, l’FNB stadium, e il numero non è stato scelto a caso: ben 11 quante le lingue ufficiali del SudAfrica.
In Brasile a Rio sarà utilizzato “Brazuca” (significa “brasiliano“). Il pallone è stato testato, per due anni e mezzo, da più di 600 giocatori (proprio per evitare polemiche, che, comunque, non mancheranno e faranno parte del “sale” di questo mondiale verdeoro) ed è composto da soli sei pannelli.
Garantisce la sua sfericità anche in condizioni di pioggia più intensa e la struttura della superficie migliora controllo, stabilità e l’aerodinamica in campo. Migliore è anche il rimbalzo che, grazie alla camera d’aria interna, ne garantisce l’effetto desiderato, così come quella presente nei palloni ufficiali della Champions league.
Quando vediamo una partita di calcio seduti comodamente sul divano, magari con una birra ghiacciata tra le mani, non ci chiediamo mai cosa volesse dire, nei primi anni Trenta, per un calciatore professionista, giocare a calcio. Credetemi era una “impresa” e talvolta ci si poteva anche ferire. Parliamo di un calcio pioneristico, per certi versi, ma ricco di fascino.
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