Mondiale 2034 in Arabia Saudita: tra ambizioni economiche, soft power e critiche sui diritti umani
La scelta della FIFA di assegnare il torneo al regno saudita riflette un progetto ambizioso, ma solleva interrogativi geopolitici e sociali
(di Lavinia Manca) – Nel 2034, la Coppa del Mondo di calcio si svolgerà per la prima volta in Arabia Saudita, una decisione che segna un punto di svolta per il calcio globale. L’assegnazione del torneo, ufficializzata dalla FIFA nel 2023, non è solo una mossa sportiva, ma una strategia articolata che riflette le ambizioni geopolitiche ed economiche del regno saudita. Questo evento non è solo una vetrina per il Paese, ma un simbolo del progetto “Saudi Vision 2030“, volto a trasformare l’Arabia Saudita in una potenza globale sotto diversi aspetti: economico, tecnologico e culturale. Tuttavia, dietro questa scelta si nascondono anche interrogativi legati ai diritti umani e al modo in cui il calcio possa diventare uno strumento di soft power, utilizzato per migliorare l’immagine internazionale del paese.
Un’alleanza tra ricchezza e geopolitica
Negli ultimi anni, la FIFA ha preferito destinare i Mondiali a nazioni che non solo sono economicamente potenti, ma che hanno un forte impatto geopolitico. La Russia, nel 2018, e il Qatar, nel 2022, sono esempi di come la FIFA abbia scelto di concedere la Coppa del Mondo a paesi che mirano a migliorare la loro immagine internazionale e a sfruttare lo sport come leva per ottenere maggiore influenza.
L’Arabia Saudita è da tempo una potenza regionale che cerca di consolidare il proprio ruolo sulla scena internazionale. La scelta della FIFA è in parte dovuta alla crescente influenza diplomatica del paese, supportata dalla sua ricchezza derivante dal petrolio e dalle sue ambizioni di leadership nel mondo arabo. L’Arabia Saudita è la 20ª economia mondiale con un PIL nominale che ha superato i 700 miliardi di dollari nel 2023, secondo i dati della World Bank. Il paese ha accumulato riserve valutarie per circa 450 miliardi di dollari e, nonostante la forte dipendenza dal petrolio, sta cercando di diversificare la sua economia attraverso investimenti strategici in vari settori. Questo abbinamento tra il calcio e la strategia politica saudita ha portato all’assegnazione del torneo, in un’epoca in cui lo sport sta diventando sempre di più un veicolo per la diplomazia globale.
Saudi Vision 2030: il piano per un paese in trasformazione
Lanciato nel 2016 dal principe ereditario Mohammed bin Salman, è un piano ambizioso che punta a diversificare l’economia saudita, riducendo la dipendenza dal petrolio. Attualmente, il petrolio rappresenta ancora circa il 50% del PIL e oltre l’85% delle esportazioni del paese, ma il governo punta a ridurre questo peso in favore di settori come il turismo, l’intrattenimento, la tecnologia e lo sport. Secondo la Saudi ArabianMonetary Authority (SAMA), il paese sta puntando a far crescere il proprio PIL non petrolifero, con obiettivi che prevedono una crescita annuale del 6-7% nei settori non petroliferi entro il 2030.
Lo sport, e in particolare il calcio, gioca un ruolo cruciale in questa visione. Nel 2022, il governo saudita ha lanciato un piano da 3,5 miliardi di dollari per lo sviluppo di infrastrutture sportive, con l’obiettivo di attrarre 10 milioni di turisti sportivi entro il 2030. Questo include la costruzione di stadi moderni, hotel di lusso e centri per l’intrattenimento, con l’intento di rendere l’Arabia Saudita una destinazione globale per il turismo e gli investimenti. Il calcio, in particolare, è stato un obiettivo di primo piano, con l’acquisto di star internazionali da parte dei club sauditi e la crescita esponenziale della Saudi Pro League. Come riportato in un articolo di The Guardian nel 2023, il governo saudita ha firmato contratti con aziende internazionali per la costruzione di impianti sportivi all’avanguardia, il che testimonia l’enorme impegno economico che il paese sta mettendo in atto per realizzare questo progetto. L’impegno di investimento è strategico: il fondo sovrano saudita (Public Investment Fund) ha stanziato più di 38 miliardi di dollari per il settore sportivo nel tentativo di costruire una solida base economica e attrarre investimenti esteri.
Un equilibrio delicato
Nonostante il piano di modernizzazione e apertura, l’Arabia Saudita continua a far fronte a critiche per le sue politiche in materia di diritti umani. L’uso del calcio come strumento di soft power, volto a migliorare la reputazione internazionale del paese, non può ignorare la repressione delle libertà civili, la discriminazione di genere e la situazione dei diritti umani. Gli attivisti temono che l’assegnazione del Mondiale 2034 possa mascherare questi problemi, distogliendo l’attenzione internazionale dalle gravi violazioni che continuano a verificarsi.
Secondo AmnestyInternational, l’Arabia Saudita è stata più volte accusata di usare eventi sportivi per “distrarre” l’opinione pubblica internazionale dai temi dei diritti umani. La scelta di organizzare il Mondiale 2034 potrebbe, quindi, rientrare in una strategia di “sportswashing”, simile a quella vista con altri regimi autoritari, dove lo sport viene utilizzato per migliorare l’immagine del paese a livello globale.
Un Mondiale ricco anche di contrasti
L’assegnazione del Mondiale 2034 all’Arabia Saudita segna un momento cruciale per il calcio globale, intrecciando ambizioni economiche, innovazione tecnologica e strategie di soft power. Mentre il paese cerca di promuovere un’immagine di modernità e apertura, le sue politiche interne sui diritti umani rimangono un tema controverso. La FIFA, puntando su una nazione ricca e influente, rischia di vedere il calcio come strumento di legittimazione politica, sollevando domande su come lo sport possa essere utilizzato per mascherare problematiche più profonde.
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