Naming rights per far decollare i progetti dei nuovi stadi di calcio
(di Marcel Vulpis) – Secondo un report pubblicato dall’Uefa, nella stagione 2015/16 c’è stato negli stadi un incremento di 2.6 milioni di spettatori considerando l’intero continente europeo. Un dato significativo che porta ad una riflessione tecnica: le Leghe calcistiche dell’area UE sono coinvolte in un generale processo di rinnovamento del parco impianti. Un programma che non passa solo attraverso la leva della costruzione di nuovi stadi, ma anche per il riammodernamento, ristrutturazione e ampliamento delle strutture attuali, concepite per venire incontro alle moderne esigenze dei tifosi di calcio 2.0.
Il passaggio successivo da parte dei club è individuare una serie di risorse suppletive, costanti nel tempo, attraverso accordi pluriennali, che possano sostenere, sotto il profilo economico-finanziario, questo processo di innovazione strutturale. Uno degli strumenti di marketing più usati, soprattutto in Europa (con la Bundesliga1 tedesca al primo posto in questa speciale classifica), è la vendita dei diritti di denominazione dell’impianti, più comunemente conosciuti nel settore come “naming rights” (diritti di nome). Molto popolari nello sport professionistico americano, anni luce avanti rispetto a qualsiasi altro mercato internazionale, dove, spesso, rappresentano la voce commerciale più importante nei ricavi delle franchigie o delle società specializzate nella gestione di strutture polifunzionali.
In Italia qualcosa inizia a muoversi, anche se ancora non c’è una visione d’insieme o una volontà concreta (anche politica) di accelerare questo processo imprescindibile di rinnovamento.
L’unico stadio tricolore che si presenta come “nuovo” (rispetto al riammodernamento delle strutture del Sassuolo calcio e dell’Udinese) è quello dei campioni d’Italia della Juventus, che, proprio lo scorso 1° luglio, hanno attivato il primo contratto di diritti di nome con il colosso finanziario-assicurativo Allianz, già partner, nello stesso segmento, del Bayern Monaco (titola la casa dei bavaresi, con il nome “Allianz Arena”, spendendo 6 milioni di euro annui).
La costruzione di moderni stadi di proprietà non serve solo a generare nuovi flussi di cassa, a copertura degli investimenti necessari per la progettazione e costruzione di queste strutture, ma a fidelizzare la fan base esistente e ad intercettare nuovi tifosi, ovvero i clienti del futuro.
Se in Italia nascesse finalmente un patto di collaborazione con le municipalità (titolari del 95% degli impianti presenti), sia in caso di riammodernamento, sia in concomitanza dell’individuazione del terreno dove costruire le nuove “case” dei club, anche il mercato dei supporter, alla ricerca di strutture di intrattenimento dove vivere la propria passione calcistica, esploderebbe, seguendo il trend generale evidenziato dall’Uefa nel suo report periodico sul football europeo.
I club pertanto devono puntare, in tempi brevi, ad attivare nuovi modelli di gestione nell’ottica di una sostenibilità economica che passa attraverso il marketing in tutte le sue forme, inclusa quella della cessione dei naming rights degli stadi. (fonte: Inchieste/Il Corriere dello Sport)
Naming rights per far decollare i progetti dei nuovi stadi di calcio
(di Marcel Vulpis) – Secondo un report pubblicato dall’Uefa, nella stagione 2015/16 c’è stato negli stadi un incremento di 2.6 milioni di spettatori considerando l’intero continente europeo. Un dato significativo che porta ad una riflessione tecnica: le Leghe calcistiche dell’area UE sono coinvolte in un generale processo di rinnovamento del parco impianti. Un programma che non passa solo attraverso la leva della costruzione di nuovi stadi, ma anche per il riammodernamento, ristrutturazione e ampliamento delle strutture attuali, concepite per venire incontro alle moderne esigenze dei tifosi di calcio 2.0.
Il passaggio successivo da parte dei club è individuare una serie di risorse suppletive, costanti nel tempo, attraverso accordi pluriennali, che possano sostenere, sotto il profilo economico-finanziario, questo processo di innovazione strutturale. Uno degli strumenti di marketing più usati, soprattutto in Europa (con la Bundesliga1 tedesca al primo posto in questa speciale classifica), è la vendita dei diritti di denominazione dell’impianti, più comunemente conosciuti nel settore come “naming rights” (diritti di nome). Molto popolari nello sport professionistico americano, anni luce avanti rispetto a qualsiasi altro mercato internazionale, dove, spesso, rappresentano la voce commerciale più importante nei ricavi delle franchigie o delle società specializzate nella gestione di strutture polifunzionali.
In Italia qualcosa inizia a muoversi, anche se ancora non c’è una visione d’insieme o una volontà concreta (anche politica) di accelerare questo processo imprescindibile di rinnovamento.
L’unico stadio tricolore che si presenta come “nuovo” (rispetto al riammodernamento delle strutture del Sassuolo calcio e dell’Udinese) è quello dei campioni d’Italia della Juventus, che, proprio lo scorso 1° luglio, hanno attivato il primo contratto di diritti di nome con il colosso finanziario-assicurativo Allianz, già partner, nello stesso segmento, del Bayern Monaco (titola la casa dei bavaresi, con il nome “Allianz Arena”, spendendo 6 milioni di euro annui).
La costruzione di moderni stadi di proprietà non serve solo a generare nuovi flussi di cassa, a copertura degli investimenti necessari per la progettazione e costruzione di queste strutture, ma a fidelizzare la fan base esistente e ad intercettare nuovi tifosi, ovvero i clienti del futuro.
Se in Italia nascesse finalmente un patto di collaborazione con le municipalità (titolari del 95% degli impianti presenti), sia in caso di riammodernamento, sia in concomitanza dell’individuazione del terreno dove costruire le nuove “case” dei club, anche il mercato dei supporter, alla ricerca di strutture di intrattenimento dove vivere la propria passione calcistica, esploderebbe, seguendo il trend generale evidenziato dall’Uefa nel suo report periodico sul football europeo.
I club pertanto devono puntare, in tempi brevi, ad attivare nuovi modelli di gestione nell’ottica di una sostenibilità economica che passa attraverso il marketing in tutte le sue forme, inclusa quella della cessione dei naming rights degli stadi. (Inchiesta/Il Corriere dello Sport)
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