Punto e a Capo

Nike vs il razzismo: tutto perfetto, ma…

L’idea era stupenda (una campagna contro il razzismo negli stadi di calcio). Lo slogan – Stand Up Speak Up – impattante e diretto. Il promoter (il francese Thierry Henry) un calciatore noto e dalla faccia pulita. Sembrava tutto perfetto, poi qualcosa si è rotto…perchè già nella partita tra Inghilterra ed Olanda alcuni calciatori britannici si sono rifiutati di prestare il proprio volto per un’operazione così meritevole.

Chiunque leggesse questo primo capoverso potrebbe non credere alle nostre parole. Ma quello che abbiamo scritto è vero ed è stato confermato ieri anche dall’autorevole Tgcom.it, che sulla campagna anti razzismo di Henry (o della Nike) ha scritto un articolo molto interessante.

La storia è questa. Dietro l’operazione a sfondo sociale c’è la Nike. Niente di male, ci mancherebbe. Però alla richiesta di indossare un braccialetto nero e bianco con all’interno il baffo della casa di sportswear americano qualcuno (vedi David Beckham – da sempre uomo Adidas) ha storto il naso e si è opposto. E come non dargli torto.

Se, infatti, avesse indossato quel braccialetto firmato da Nike sarebbe scoppiato un putiferio in casa del colosso di Herzogenaurach. Beckham che fa pubblicità alla Nike anche se per una causa lodevole?. Impossibile. Almeno nel calcio del Terzo Millennio dominato da produttori di scarpini e case di abbigliamento (che a più riprese impongono alle Federazioni anche chi convocare).

Che dietro l’operazione Stand Up Speak Up non ci fosse solo Thierry Henry, bensì il colosso dell’Oregon lo si è capito facendo capolino, per esmepio, sui back-drop tv del Portogallo (impegnato in amichevole contro la Repubblica d’Irlanda). Appariva inconfondibile il baffo della Nike (kit supplier dei lusitani), il nome del progetto (Stand Up Speak Up) e, casualmente, nelle interviste c’era una singolare attenzione nei confronti dei giocatori targati Nike (vedi Cristiano Ronaldo o Jorge Andrade – fonte: Marca).

Insomma se la Nike fosse ogni tanto un po’ meno globale e accentratrice nei suoi progetti non diminuirebbe il valore della marca. Anzi sarebbe agli occhi di media, addetti ai lavori e grande pubblico sicuramente un po’ più simpatica e friendly. Invece, anche questa volta, pur in presenza di un tema indiscutibilmente lodevole come la lotta al razzismo non si capisce realmente quanto sia l’attenzione reale nei confronti di questo problema o il desiderio (idealmente legittimo) di farsi pubblicità. Non sarebbe stato meglio se la Nike avesse creato una cordata con i principali marchi di sportswear (Puma, Adidas, Lotto, Diadora, ecc.) promuovendo una campagna contro il razzismo veramente globale?

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Marcel Vulpis

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