Non spegnete il “motore” dell’industria calcio
Il calcio professionistico italiano deve ripartire velocemente, perché lo stop forzoso, collegato all’emergenza sanitaria, sta generando ingenti danni economici a tutti i livelli. A confermare questa tesi vi è il report elaborato, di recente, dalla Federcalcio con il supporto dei consulenti di OpenEconomics.
Il valore della produzione delle tre leghe (Serie A, B e C), nel 2018-19, ha toccato i 3,8 miliardi di euro (a fronte però di costi complessivi per 4,1 miliardi), per arrivare fino ai 5 miliardi se si considera anche il fatturato dei campionati dilettantistici e giovanili (circa 1,2 miliardi di euro).
Il giro d’affari del pallone tricolore ruota attorno a cinque pilastri: diritti tv (1,4 miliardi di euro), sponsorizzazioni (1,3 miliardi), plusvalenze cessioni giocatori (800 milioni), biglietteria e abbonamenti (400 milioni) e altri ricavi (1,1 miliardi). Questi numeri sono ancora più significativi se si analizza il valore socio-economico dell’industria calcio. L’impatto sul Pil, in termini di ricavi e costi, nel 2016 (ultimo dato disponibile) è stato di 7,4 miliardi di euro, con un peso percentuale pari allo 0,51%.
Un comparto tra l’altro che occupa più di 89mila addetti, senza considerare i ritorni garantiti per le casse dello Stato (le tasse generate, su base annua, sono pari a 1,7 miliardi di euro).
Nel confronto 2016-2020, il calcio professionistico è cresciuto percentualmente in tutti i settori oggetto di analisi, come nel caso della spesa diretta (+65%), delle tasse generate (+79,7%) o ancora dell’occupazione attivata (+35,5%).
L’effetto Covid-19, all’interno di questo mercato, rischia di essere devastante. Secondo lo studio Figc la previsione di perdita è mediamente del 40% (se si esamina il contributo al PIL generato), fino a toccare il 57% se si considera, invece, la voce della “spesa diretta”. (nella foto in primo piano l’immagine di Gabriele Gravina – n.1 della Federcalcio)
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