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Oliviero Toscani, il rivoluzionario del click e quel legame indissolubile a 360 gradi con Luciano Benetton

(di Massimiliano Morelli*) – C’era una sinergia all’avanguardia coi tempi quando s’incontrarono le menti di Oliviero Toscani e Luciano Benetton (patron dell’omonimo impero dell’abbigliamento). Il fotografo milanese, ma per definizione “cittadino del mondo“, aveva la capacità e il gusto di saper rischiare, basta scartabellare la Rete per far riaffiorare ricordi ingialliti dalla memoria ma vivi e, per certi versi, ancora oggi moderni.

Chi mi ama mi segua”, e la foto di un jeans saranno pure un richiamo banale, ma… nessuno ci aveva pensato prima. Ogni click (nella foto in primo piano la campagna “Globes” per United Colors of Benetton – oggi più che mai attuale alla luce dello scontro israelo-palestinese, nda) aveva il suo rovescio della medaglia, e lui, morto a 82 anni per un male che l’ha folgorato (è morto questa mattina all’ospedale di Cecina, dove era ricoverato da venerdì scorso per l’aggravarsi delle sue condizioni), poteva tranquillamente essere considerato una sorta di Giano Bifronte, come le sue foto. Il bacio tra un prete e una suora, gli sguardi dei condannati a morte, il corpo di una donna consumata dall’anoressia, un malato di Aids circondato dai parenti negli ultimi momenti della sua vita. Non c’è stata campagna pubblicitaria sballata, ogni istantanea a modo suo aveva la capacità di smuovere le coscienze.

Gli scatti di Oliviero facevano pensare. Milanese, che esordisce – quattordicenne – con la foto del volto di Rachele Mussolini alla tumulazione del Duce. Miliardi di scatti, chi fotografa “ferma l’attimo”, Toscani con lo scatto immortalava l’arte. Un precursore che a inizio anni Ottanta incontra un visionario, Luciano Benetton, e insieme si “concentrano” sui maglioni. Che non diventano solo capi d’abbigliamento, ma un pretesto, quello di portare in primo piano temi sociali come l’uguaglianza, la mafia, l’opposizione all’omofobia, la lotta all’Aids, che all’epoca veniva considerato il male del secolo, o la battaglia alla pena di morte. Era l’azzardo di vincere davanti al tavolo verde avendo solo idee e nessuna carta da cogliere nel mazzo.

Toscani sapeva osare oltre l’immaginabile anche quando l’azzardo appariva un’utopia. Come quell’idea di far sbarcare Flavio Briatore in Formula 1, chiamato come direttore commerciale (prima) e trasformato in direttore esecutivo poi, alla Benetton, scuderia nata dalle “ceneri” della Toleman. “Briatore è un cinico, pensa solo al business, per questo dobbiamo prenderlo”. Benetton gli diede retta e fu come sorpassare sul rettilineo finale tutti gli antagonisti di circostanza.

  • scrittore e giornalista sportivo romano
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