Perché Elia Viviani ci rappresenta tutti. Un oro nel solco della matrice culturale italiana
(di Marcel Vulpis) – Cosa c’è di più bello di un figlio (campione) che indica un padre (in quel momento in tribuna) ringraziandolo, con un semplice gesto, di anni di attese/sacrifici a bordo pista (magari mentre scala tutte le categorie dai dilettanti ai professionisti) e di un padre che vede, nella vittoria del figlio ai Giochi di Rio (il massimo alloro per uno sportivo) il risultato di migliaia di ore di sacrificio e di dedizione?
In questa foto, che abbiamo scelto come sintesi della spedizione olimpica azzurra (a meno di quattro giorni dalla chiusura dei Giochi), c’è la rappresentazione del sacrificio, dell’Italia, della nostra cultura millenaria. Un Paese nato e cresciuto agricolo, per poi trasformarsi in industriale nel Dopoguerra. Oggi, sotto i colpi di una crisi endemica, cerca non solo di risalire, ma di trovare una “via italiana” per competere in ambito internazionale. Nello sport ci sta riuscendo, grazie anche ad una riorganizzazione, partita (non casualmente) quattro anni fa sotto la guida di Giovanni Malagò, il primo presidente-manager nella storia del CONI.
I risultati del medagliere sono sotto gli occhi di tutti. Siamo a 23 medaglie, anzi 24 (attendendo il responso della finale di beachvolleyball Bra-Ita, con Lupo e Nicolai che le proveranno tutte per superare i fortissimi rivali verdeoro). Ma in stand-by (in attesa di conoscere il risultato finale delle semifinali) c’è anche il Setterosa, il Settebello e l’Italvolley. Siamo a 4 medaglie dal risultato di Londra (28 medaglie), ma sesti nel medagliere superati solo da corazzate del calibro di Usa, Cina, Russia, Gran Bretagna (forte anche dopo la Brexit) e Germania.
Ma torniamo ad Elia Viviani, che rappresenta “idealmente” tutti gli atleti dell’#ItaliaTeam, i medagliati, come i tanti quarti posti, o i semplici finalisti o gli atleti azzurri che sono usciti nelle batterie, ma presenti a Rio con orgoglio, sapendo di aver dato il massimo. E perché no anche quel GianMarco Tamberi (infortunato e sfortunato), che piange in tribuna, guardando le qualificazioni per il salto in alto maschile (perché sa che si sarebbe giocato una medaglia storica per l’Italia). Lo aspettiamo a Tokyo2020.
“Migliaia di gesti, un solo sogno“, come ha perfettamente rappresentato nel suo claim UnipolSai, main sponsor del Coni e dell’Italia Team a Rio. E’ quanto abbiamo visto, come altri milioni di italiani, mentre celebravamo in tv (sulle reti Rai) la vittoria nell’Omnium di Elia Viviani (oro nel ciclismo su pista), dopo che, quest’ultimo, era caduto in pista e risalito su una nuova bici, vincendo per un intero movimento anche contro la sfortuna. In quella caduta, risalita e vittoria, c’è la sintesi dello sport e della vita (quotidiana). Luci e ombre, con una medaglia olimpica che arriva dopo averci già provato (senza riuscirvi) a Londra, ma continuando con ostinazione a rincorrere quel sogno a cinque cerchi.
Ecco perché abbiamo scelto Elia Viviani e questo bellissimo fermo-immagine, in rappresentanza del progetto #ItaliaTeam. Viviani rappresenta tutti, medagliati e non, ma soprattutto rappresenta non solo gli altri 313 olimpici azzurri, ma un intero Paese, orgoglioso delle sue radici, che cerca un esempio (vincente) per ripartire per più forza.
L’Italia Team a Rio è questo esempio, questo squillo di tromba nel cuore di tutti noi Italiani. Non sentirlo, voltandoci dall’altra parte, sarebbe una grande occasione mancata.
Cos’è infatti un Paese senza unità, senza valorizzazione delle proprie radici culturali, senza un sogno da raggiungere, seppure con sacrifici e ore spese a ripetere lo stesso gesto (nello studio di un artigiano di un piccolo borgo di provincia, come sulla pista di ciclismo così come ha fatto negli ultimi anni Elia Viviani)? Dobbiamo tornare ad essere “comunità”, popolo, nazione, non solo nello Sport.
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