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Race: un film che esalta il tema del talento e del rispetto umano a livello razziale e religioso

“RACE – Il colore della vittoria” – Un film è di successo, se lascia un segno nel cuore e nella testa di chi acquista il biglietto per la visione. E’ quanto avviene con “Race“, il film-biografia del regista Stephen Hopkins sulla vita del campione nero pluriolimpionico “Jesse” Owens (vinse alle Olimpiadi di Berlino, in terra nazista, ben 4 medaglie d’oro: 100 mt, 200 mt, salto in lungo e staffetta 4×100).

Una pellicola che parte da lontano, ovvero dal rapporto che Owens crea con il coach dell’Ohio University, Larry Snyder, un vero e proprio scopritore di talenti.

Jesse ottiene la convocazione per le Olimpiadi di Berlino. È il 1936 e la politica di epurazione razziale di Hitler divide il Comitato Olimpico Americano: partecipare o boicottare? Vinceranno i favorevoli per 58 voti a 56, ma rimane l’ombra dell’interesse di uno dei top manager dell’USOC (il Coni americano), che firma anche per una commessa d’affari per la costruzione dell’ambasciata americana a Washington D.C. (una ambasciata che non verrà mai costruita, soprattutto nella magnificenza pensata dal ministro per la propaganda nazista Joseph Goebbels).

La comunità afroamericana si pose lo stesso problema e forti furono le pressioni perché non partisse per i Giochi nazisti. Owens alla fine ascoltò il proprio cuore e le parole della famiglia, oltre che i consigli dell’allenatore.

Con Race, titolo dal doppio significato, il regista ha optato per un ritratto eroico di Owens, dall’inizio alla fine, nello sport e nella vita. Come tutti i film a carattere storico, c’è il rischio di un eccessivo uso degli aneddoti, ma la pellicola fila veloce, tenendo il pubblico sempre sul filo della tensione e dell’attenzione sui temi valoriali che intende enfatizzare (le discriminazioni razziali in Germania e negli Stati Uniti, così come la caccia assassina dei nazisti nei confronti degli Ebrei).

Il film di Hopkins esalta il concetto di “talento” puro, soprattutto in ambito olimpico e i valori dell’Olimpismo. Bellissimo il passaggio del rapporto di amicizia/rispetto, che nasce, durante l’Olimpiade di Berlino (gestita dal gruppo di potere del cancelliere Adolf Hitler come un momento di grande propaganda internazionale), con il campione di salto in lungo Carl Ludwig Long, che tenne durante la gara, e, soprattutto durante le qualificazioni per la finale, un comportamento di grande sportività nei confronti dell’atleta americano.  Per la “vicinanza” dimostrata nei confronti di Owens, Long fu punito e spedito al fronte, morendo ad appena 30 anni in Sicilia durante lo sbarco degli Alleati. 

Toccante anche il passaggio dell’esclusione dei due staffettisti (nella 4×100 maschile) americani solo perché “ebrei”. Secondo quanto viene riportato nel film furono proprio i dirigenti dell’USOC ad operare tale scelta, che, però, spianò la vittoria e la leggenda finale di Jesse Owens. Diventando di fatto un boomerang nei confronti del regime nazista. Tornato in patria nonostante il milione di americani che lo attesero festanti per le strade di New York, le discriminazioni razziali rimasero forti e ne dovette subire le conseguenze al di là dei successi e delle vittorie conquistate in Germania, prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

 

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