Rassegna stampa – Il Cagliari calcio perde spettatori allo stadio
UNIONE SARDA
Cagliari, 8mila tifosi in meno
Inchiesta. Nell’era della tv le presenze sugli spalti sono in calo: al Sant’Elia 13mila persone di media nelle partite del girone d’andata
Dal ’99 a oggi una fuga di spettatori: solo il calcio che cambia?
Gli appelli si sprecano. Presidente, allenatore, talvolta anche i giocatori chiedono sempre una sola cosa ai loro tifosi: venite allo stadio. La presenza sulle gradinate è considerata la principale forma di supporto alla squadra. Primo: comprare il biglietto. Secondo: (se possibile) sostenere i giocatori. Ai tempi in cui l’incasso al botteghino costituiva la voce attiva più pesante nei bilanci delle società professionistiche, la gente sugli spalti era davvero il dodicesimo uomo. Il calore e il colore del tifo, la vicinanza (foss’anche minacciosa) delle tribune alle linee del campo, i decibel che piovevano sul terreno di gioco come un doping per i giocatori di casa e un tormento per gli avversari, erano parte essenziale dell’alchimia della vittoria. È ancora così?
ARRIVA LA TV Il calcio è cambiato, i soldi arrivano dai diritti tv, il biglietto che si compra oggi vale un posto in prima fila per la poltrona di casa, dalla quale spesso si gode lo spettacolo di stadi semivuoti. Le cifre diramate come al solito dalla Lega Calcio alla fine del girone d’andata parlano di una presenza media di 24.148 persone alle partite di serie A. Curioso che la cifra sia grosso modo quella corrispondente alla capienza indicata nei progetti per la nuova Karalis Arena. Questi però sono gli spettatori medi negli stadi italiani. Il Sant’Elia non è tra quelli più frequentati. Anzi. Su venti squadre della massima serie, quattordici hanno un pubblico più numeroso, due quasi uguale (Atalanta e Catania), tre inferiore (Chievo, Livorno e Siena).
TIFO ROSSOBLÙ Già, ma quanti sono gli spettatori la domenica al Sant’Elia? Da molti anni, sarà che spesso le gradinate sono semivuote e passa la voglia di saperlo, sarà che il Cagliari non fornisce a fine gara le informazioni sugli spettatori paganti e sugli incassi (e infatti gli abbonati vengono genericamente definiti «circa ottomila»), fatto sta che non si sa quante persone assistano alle partite. Grazie ai dati della Lega, però, si può ricostruire una tendenza media. E, nelle prime nove partite della stagione, i rossoblù hanno avuto 13.200 spettatori (6 più dell’Atalanta e 12 più del Catania) su una capienza di 20.266 posti (fonte Agibilità Cpv- Lega Calcio) o 21.530 (fonte Cagliari Calcio – Ticket One).
LE RIVALI Alcuni dati delle altre squadre: Inter (prima per numero medio di spettatori) 52.492 (80.018 posti), Napoli 46.852 (60,240), Juventus 23.928 (27.994), Bari 24.847 (58.270), Siena (ultimo) 10.677 (15.373). In serie B, soltanto il Torino (13.372) ha sinora fatto meglio del Cagliari. La Vecchia Signora capeggia la classifica delle squadre che occupano la maggior percentuale dei posti disponibili all’Olimpico (85,48%), il Cagliari riempie il 61 per cento del suo stadio, il Chievo (seconda squadra di Verona dopo l’Hellas che è in Prima Divisione) gioca nel deserto nel grande Bentegodi, vendendo meno del 32% dei 39.211 seggiolini a disposizione. Va ricordato che la capienza media degli impianti di serie A è di poco inferiore ai 42 mila posti.
RIMPICCIOLITO I nostalgici, però, ancora ricordano quando il Sant’Elia, concepito alla fine degli anni Cinquanta, riprogettato a metà degli anni Sessanta, finito di costruire nel 1970 e ristrutturato nel 1989, poteva ospitare sessantamila persone. Non siamo più nell’epoca della Coppa dei Campioni, evidentemente, e di quel Cagliari-St. Etienne 3-0 che è stato consegnato più alla leggenda che agli annali. Eppure, soltanto undici di anni fa (stagione 1998-99), la media delle presenze al Sant’Elia era di 21.493 spettatori, ammaliati dall’impresa del Cagliari del tandem Cellino-Ventura: salvezza in serie A dopo la promozione dalla B dell’anno precedente (applaudita, mediamente, da 18mila tifosi). Allora la capienza del Sant’Elia era di 40mila posti, che oggi sono ridotti a 21mila circa, con le tribune in tubi Innocenti.
SU E GIÙ Dalla metà degli anni Novanta, il grafico delle presenze ha seguito una curva sinusoidale, un su e giù che ha assecondato il rendimento del club: ci sono stati anni bui in B con seimila spettatori di media e anni in cui la gente è tornata allo stadio, superando quota 14mila. Ma la tendenza degli ultimi vent’anni è – innegabilmente – al ribasso. Più irregolare è la variazione del numero di abbonati nelle stesse stagioni, ma questo dato è meno attendibile delle presenze complessive, perché le nuove strategie di marketing, come la vendita di pacchetti per gruppi di partite, lo rendono disomogeneo.
I MOTIVI DELLA FUGA Resta da rispondere all’ultimo quesito. Perché i tifosi se ne sono andati dallo stadio e dove sono andati? Il rischio di scivolare in discussioni del valore di chiacchiere da bar è altissimo. Impossibile sostenere, con i pochi numeri a disposizione, una tesi attendibile. Occorrerebbe considerare troppi fattori: non soltanto la massiccia offerta alternativa allo stadio (tv satellitare, digitale terrestre, Internet), ma anche la condizione economica, il tasso di disoccupazione, il costo dei biglietti. Restando nel campo sportivo, bisogna tenere presente anche l’effetto derivante dall’aumento degli episodi di violenza, la scomodità dell’impianto cagliaritano e, naturalmente, lo spettacolo offerto in campo. Ma anche se riuscissimo a mettere tutto in un frullatore algebrico, una risposta sicura non l’avremmo mai.
CARLO ALBERTO MELIS
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