Rassegna stampa – Il Corsera si occupa del marketing delle squadre di calcio
fonte: Corriere della Sera – 29/12/2010
Più marketing e basta retrocessioni»
L’intervista Alberto Acciari: «I presidenti vendono male il loro prodotto»
MILANO – Il manager si lamenta che il calcio, e chi lo guida, non pensa come si deve a marketing, promozione e programmazione. Troppo concentrati i presidenti a spendere fortune su campioni (ipotetici) e allenatori (supposti maghi). «Marketing e organizzazione societaria sono aree trascurate, spazi ancora inesplorati. I presidenti vendono male il loro prodotto». Se lo dice Alberto Acciari, docente di marketing sportivo all’Università Cattolica di Milano e all’Università di Roma Foro Italico e imprenditore di suo, bisogna credergli. Associa testa e cuore, un mix raro tra i manager. «L’enorme tesoro dei diritti tv – osserva Acciari – andava sfruttato meglio. I presidenti delle società di calcio sono spesso imprenditori oculati ma coraggiosi. Quando pensano e vivono il calcio, però, diventano miopi»
Cosa non vedono?
«Non capiscono che un serio professionista di marketing e un valido direttore organizzativo possono valere quanto un campione o un ottimo allenatore, perché possono rivoluzionare il conto e il costo economico di una società».
Addirittura.
«Un allenatore fa il suo mestiere e pretende il miglior prodotto possibile sul mercato: così si inseguono determinati calciatori. Ma è venuta l’ora che una società si occupi del prodotto che desidera l’appassionato, lo spettatore che, attenzione, non è soltanto il telespettatore».
Come siamo messi a merchandising?
«Mi viene da ridere…».
Non è una bella reazione.
«Si è pensato che col merchandising si sarebbero sistemate le società. Siamo molto lontani dal risultato, perché l’obiettivo è stato vendere, non creare il desiderio del calcio in chi ama lo sport. Si sta commettendo un errore analogo per gli stadi».
Sarebbe a dire?
«Ben vengano nuovi impianti. Ma ci si riempie la bocca con complessi che prevedono cinema, ristoranti. Si pensi invece allo spettacolo e allo spettatore che deve essere aiutato non solo con film e menù. Lo stadio dev’essere in un’area comoda, magari periferica ma assistita, con una rete di trasporti efficiente ed economica. Solo così si fa bene al calcio».
Altra proposta?
«Ho studiato negli Usa lo sport nelle sue varie espressioni e problematiche. Là anticipano tempi e formule. Allora li si imiti bloccando le retrocessioni. Cadere in serie B è una sventura, significa far saltare i conti e gli investimenti di una società. Bloccare le retrocessioni vuol dire: maggiore equilibrio al campionato, renderlo più sereno, aumentarne la competitività e invogliare gli investimenti».
Cosa deve imparare il calcio dagli altri sport?
«A credere di più in se stesso e a sfruttare la sua enorme popolarità: si propagandi meglio l’immagine dei suoi campioni che trasmettono un’idea sbagliata, superficiale, televisiva della società: spesso li si mette in mutande. Guardiamo la Pellegrini, Howe, la Vezzali, Gallinari: si fa vedere il loro viso, si esalta il sorriso, regalano un’immagine serena, pulita della vita e dello sport».
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