Re-branding Juventus: il calcio da sport diventa entertainment pop
(di Daniele Onori) – Le società di calcio nei bilanci non possono iscrivere il valore del marchio, in quanto si configura come un’attività prodotta internamente ed è espressamente negata la rilevazione nello Stato Patrimoniale, a meno che la società non l’abbia acquistato da una società terza.
L’unica società italiana, che sta valorizzando il proprio marchio è la Juventus e tale processo di crescita come brand mondiale passa anche attraverso il nuovo logo (una “J” stilizzata che manda in soffitta il tradizionale crest sportivo), come dimostra la spettacolare presentazione avvenuta il 16 gennaio al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano.
Una nuova “brand identity”, per certi versi unica e distintiva anche rispetto alla concorrenza del calcio (non solo italiano): “Un segno iconico ed essenziale, dalle linee taglienti, che potrà imporsi da protagonista in qualsiasi contesto e su qualsiasi interfaccia” si legge sul sito della Juventus. Per certi versi “pop” ed ideale non solo per il merchandising futuro, ma anche e soprattutto per i mercati internazionali.
E’ come se la Vecchia Signora si fosse appropriata nel mondo della lettera “J” (grazie a quanto studiato dagli esperti della Interbrand), per tutti gli altri club la scelta di restare, per il momento, con il logo/brand tradizionale, li relega quasi ad un passato senza senso.
Il marchio rappresenta un elemento essenziale del patrimonio di un club calcistico, il più importante asset societario ed il passaggio da uno stemma a un logo, come nel caso dei bianconeri, è un passaggio culturale direi epocale in Itala.
Oggi il calcio è un business in grado di costruire profitti.
Il primo investimento più importante per la Juventus è stato lo stadio di proprietà (lo Juventus stadium), una “casa” nella quale i tifosi hanno trovato un punto di riferimento ed ora un nuovo brand societario che consentirà di allargare esponenzialmente il proprio seguito di tifosi, appassionati o semplici individui, magari geograficamente lontani ma intimamente legati alla società, simbolo per una città o per una nazione intera.
Questo permetterà di allargare il proprio mercato di riferimento a nazioni extra-europee, attirando nuovi investitori e sponsor.
Il calcio non é più solo una passione sportiva universale, ma: attività di Marketing, Comunicazione e Brand extension; un contenitore di entertainment da vivere a 360°; un contatto col tifoso, ovvero un rapporto B2C; un prodotto di esportazione verso quei mercati che hanno “fame” di calcio.
Con ogni probabilità, qualcuno pasolinianamente ancorato «all’idealismo liceale, quando giocare al pallone era la cosa più bella del mondo» avrà poca simpatia per un calcio diventato business e di conseguenza massificato e commercializzato in ogni suo aspetto, ma come scriveva lo stesso Pier Paolo Pasolini:
“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”.
E allora silenzio in sala, si apra il sipario e godiamoci tutti questo spettacolo!
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