Reporter del New York Times: no Twitter e Facebook
(di Gianni Bondini)* Il 17 ottobre abbiamo appreso che i 1.300 giornalisti del New York Times, uno dei giornali più autorevoli al mondo non potranno più intervenire liberamente su Facebook, su Twitter e anche su Istangram, che, però, predilige le foto ai commenti.
La decisione è stata presa dalla proprietà del NYT, che ha consegnato alla sua vasta e autorevole redazione un “Codice di comportamento che proibisce a tutti i redattori di ogni grado e specializzazione di dire la “sua” su qualsiasi argomento “postato sui social”.
Specialmente se il commento del giornalista sia in antitesi con la linea politica, sociale, economica e financo sportiva del New York Times.
A quelli come me, che adoravano il modo di fare il mestiere dei colleghi “made in Usa” è crollato un muro sulla testa. Che cosa sarebbe successo se durante lo scandalo del Watergate si fossero già formati i social?
Tutti gli uomini di Nixon avrebbero continuato a spiare coperti dall’immunità presidenziale e nessuno avrebbe scoperto il pasticcio dell’avvocaticchio Richard, diventato, malgrado lui, l’uomo più potente del mondo.
Il fatto è nuovo ma il problema è vecchio come le”fake”,quelle notizie inventate che una volta si chiamavano, in modo più ruspante “bufale”. Si tratta di tornare ed efficace controllo del giornale e dell’informazione in genere da parte di professionisti navigati, capiservizio e capiredattori. Senza troppi codici e codicilli comportamentali.
Tenendo conto, però, che l’Italia è il fanalino di coda nell’ideale classifica degli “editori puri”. Perché da noi i padroni dell’informazione sono in massima parte costruttori, industriali e come insegna Silvio Berlusconi (fondatore delle reti del Biscione), chi non invade le case dei cittadini-elettori con la propria immagine in mondovisione è destinato a scomparire.
- giornalista e scrittore sportivo
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