Schwazer, l’Olimpiade di Rio2016 sempre più lontana
La notizia della positività all’EPO (per la seconda volta) di Alex Schwazer ha colto il mondo degli addetti ai lavori totalmente di sorpresa, anche se l’atleta azzurro ha dichiarato, oggi pomeriggio, a Bolzano (durante una tormentata conferenza stampa) di essere innocente, anzi vittima di un complotto.
In attesa delle contro-analisi (il risultato delle analisi ha evidenziato un valore di testosterone 11 volte superiore alla norma, anche se Schwazer aveva registrato altri 15 test completamente negativi). le dichiarazioni del campione olimpico di marcia fanno pensare.
Lo stesso appunto ha parlato, senza mezzi termini, di complotto e di persone che avrebbero lavorato per non farlo partecipare ai Giochi di Rio2016 (l’avvocato dell’azzurro è pronto a depositare una denuncia contro ignoti). Se l’ipotesi doping è grave, le dichiarazioni di Schwazer sono ancora più gravi, perché, di fatto, fa riferimento a persone “ignote” senza un nome ed un cognome che l’avrebbero penalizzato.
L’azzurro ha il brutto vizio di non essere mai cristallino al 100 per cento, soprattutto quando parla con i media. Chiede scusa (anche nel passato) ma non fa mai chiarezza su tutti gli aspetti della sua vita e delle sue imprese. Anche in questo caso, nello specifico, parla di innocenza, ma la “sporca”, purtroppo, con l’ombra del sabotaggio.
Come se nello sport italiano ci fossero soggetti pronti a svegliarsi la mattina per modificare i suoi campioni di urine. Tutto è possibile, ma l’unica cosa certa è la sua positività.
Tutto il resto sono supposizioni, anch’esse da dimostrare. Se poi il campione di marcia ha elementi per immaginare complotti orditi alle sue spalle faccia i nomi.
Al momento, quindi, Schwazer risulta dopato e confermare il contrario (purtroppo) sarà difficilissimo. Dopo questo nuovo caso l’azzurro è più fuori da Rio2016 che dentro. Nello specifico, pur riconoscendo all’atleta di aver dimostrato di essersi rimesso in gioco e di aver pagato in toto una pena molto pesante, non ci ha mai convinto come persona e come atleta. E questi due elementi spesso, nella vita di un campione, devono coincidere in modo equilibrato.
Per noi Schwazer non doveva partecipare a Rio2016, ancor prima di questo caso, perché chi si dopa ha scelto di non seguire le regole e di truffare gli avversari. Se non ci fosse stato quello sventurato test a sorpresa l’atleta italiano sarebbe andato a Londra2012 bello, sereno e paciarotto. E magari avrebbe anche vinto, prendendoci tutti in giro. Come è successo nel caso di Lance Armstrong e i suoi trofei di ciclismo tutti revocati, se non fosse scoppiato lo scandalo, sarebbe andato in pensione avendoci preso per i fondelli fino all’ultimo.
Una cosa deve essere chiara per i lettori, per gli addetti ai lavori e per il CONI. Non è mai esistito un atleta dopato che si sia pentito prima. Questi atleti si pentono sempre dopo essere stati scoperti. Se non passa questo passaggio logico e di buon senso, confermato dalla casistica, la filiera dello sport non risolverà mai questa piaga endemica.
E’ amaro bloccare la carriera di un atleta (soprattutto se un campione), ma sul doping ci vuole “tolleranza zero”. Chi si dopa ha un “demone” nella testa. Non ragiona più e non si rispetta più come uomo ed atleta. E’ un cancro del sistema. Fa solo male all’immagine di un movimento e getta fango (indirettamente) anche sui compagni.
Ecco perché il CONI, pur riconoscendone il valore morale nel voler recuperare un giovane atleta come Schwazer, deve essere più fermo del passato. Nel caso specifico dell’azzurro della marcia ormai quest’ultimo deve rimanere a casa. Purtroppo, la sua avventura olimpica finisce qui.
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