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Serie A: accordi tra società e calciatori o inevitabili contenziosi

contributor: avv. Ranieri Romani, Partner LCA Studio Legale (Esperto in diritto del lavoro, relazioni industriali e diritto sportivo). – nella foto in primo piano

 Si discute da oltre un mese ormai sul se e quando i campionati di calcio (e le competizioni Europee) ripartiranno. Molti, per vari motivi (economici, sportivi, ecc.) spingono per la ripresa. Altri, principalmente per garantire la tutela della salute dei calciatori, dichiarano che sia ancora presto (o, i più rigidi, che sia impossibile una ripresa). Opinioni e giudizi contrastanti. Un dato, però, è certo: lo stop alle manifestazioni sportive potrebbe avere importanti conseguenze (negative) su tutto il sistema. Basti pensare, infatti, che il calcio in Italia produce un fatturato di circa 5 miliardi di euro e che, nella sola Serie A, la mancata ripresa della stagione 2019/2020 comporterebbe una perdita complessiva nelle tasche delle società di circa 700 milioni di euro a causa dei mancati introiti da diritti TV, botteghini e sponsorizzazioni. Numeri importanti che, inevitabilmente, si ripercuotono sui conti delle società stesse. E’, dunque, comprensibile che alcune di esse si siano mosse per cercare di ridurre i costi di struttura (in cima alla lista gli stipendi dei tesserati), non più fronteggiabili senza le entrate derivanti da marketing, sponsor e diritti TV.

Lo ha fatto la Juventus per prima (che ha un monte ingaggi di quasi 300 milioni di euro, il più alto nella categoria), la quale ha negoziato con i propri calciatori una riduzione degli stipendi del 30%. Ci stanno provando altre società, le quali potrebbero vedersi opporre resistenza (più o meno intensa) dai loro tesserati, già pronti sul piede di guerra. Ad ogni modo la rinegoziazione – salvo che non si voglia arrivare inevitabilmente allo scontro – dovrà passare necessariamente da un accordo individuale. Non è, infatti, sufficiente un eventuale accordo tra Lega e Associazione Italiana Calciatori (AIC) che, ove sottoscritto, non vincolerebbe i calciatori, i quali potrebbero non dare il proprio consenso alla modifica del contratto individuale di lavoro. In caso di rifiuto da parte dei calciatori si potrebbero aprire vari scenari: le società potrebbero, da un lato, unilateralmente ridurre la retribuzione dei tesserati (o addirittura sospenderne il pagamento) in quanto la prestazione è (oggi e sino a un’eventuale ripresa) oggettivamente impossibile; dall’altro, specie in caso di ripresa del campionato, potrebbero chiedere a un giudice la risoluzione del contratto di lavoro per eccessiva onerosità sopravvenuta. Scenari però ad oggi residuali, posto che darebbero il via a lunghi e imprevedibili contenziosi a danno di tutte le parti in causa e non funzionali alla possibile ripresa delle manifestazioni.

Sarà, quindi, “necessaria” una trattativa individuale con i calciatori. Più facile in Serie A, più ardua in Serie B e C (dove la maggior parte dei tesserati hanno una retribuzione annua inferiore ai 50 mila euro). In tali categorie (B e C), potrebbe aiutare un intervento dello Stato (con ammortizzatori sociali ad hoc) o l’istituzione di un fondo straordinario di garanzia, eventualmente finanziato da società e calciatori di Serie A tramite il versamento di una minima percentuale delle retribuzioni.

Servirà, però, da parte di tutti la disponibilità a rinunciare a una parte delle proprie pretese, affinché il sistema calcio non crolli, a danno dei tesserati e dei molti altri dipendenti (non tesserati) occupati presso le società di calcio (in Serie A, ben 1581).

Certo è che la rinegoziazione dei termini contrattuali dovrà riguardare sia l’attuale situazione di sospensione delle competizioni (gestione delle ferie, riduzione retribuzione, ecc.) sia la situazione futura, ovverosia quella della eventuale ripresa dell’attività: con minori introiti da sponsor, incassi di spettatori, diritti TV, le società potranno ancora permettersi di pagare gli attuali stipendi? Non possiamo dirlo oggi. Ciò che è presumibile è che nei futuri contratti le parti potrebbero vincolare gran parte della retribuzione (più di quanto oggi già fanno) a risultati o eventi o, addirittura, definire all’inizio del rapporto di lavoro (e, quindi, nel contratto) le condizioni economiche da applicare in caso di sospensione dell’attività per fatti oggettivi e non imputabili alle parti: una sorta di accordo nell’accordo ex ante. Ad oggi non possiamo saperlo; di certo c’è che il rapporto che è andato consolidandosi negli anni tra società e calciatori e, in generale, il modello di business del calcio cambierà profondamente (anzi, forse è già cambiato).

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