Serie A - Serie B

Serie A: Undici club su 20 fuori dai parametri del fair play finanziario

La regola è chiara e
insindacabile: il rapporto tra queste due voci non deve superare il 70 per
cento. Il pareggio dei costi/ricavi, pietra miliare del fair play finanziario,
viene di fatto disatteso nel momento in cui il monte ingaggi è la voce primaria
di costo aziendale e supera questo limite percentuale. Ci si viene a trovare di
fronte ad un palese sbilanciamento finanziario, che porta, nel tempo, a far
registrare “rossi” anche di forte entità. Il contenimento dei costi è la parola
d’ordine da seguire per tutti i presidenti, ma, nei fatti, un
patron su due sottovaluta il problema
continuando a pagare cifre a sei zero per “rose” imbottite di stranieri e dando
poco spazio al vivaio, voce non sempre identificabile in modo chiaro in tutti e
20 i bilanci della A.

Da troppi anni, tra l’altro,
il calcio tricolore sopravvive grazie alle plusvalenze, incrociando operazioni
di players trading tra club “amici”.
E questo è un ulteriore segnale di allarme ed anomalia del mercato in esame.

LA MAGLIA “NERA” DELLE LIGURI

L’oscar negativo spetta a Genoa e Sampdoria, che, rispettivamente si
presentano con un rapporto costi del personale/fatturato netto, pari a 122,78 e
111,01 per cento. I costi gestionali dei calciatori e dei dipendenti, di fatto,
assorbono tutta l’area dei ricavi, anzi vanno anche oltre. Il Genoa ha speso
più di 54 milioni di euro per questo settore e presenta un saldo netto
potenziale della rosa calciatori pari
a 92 milioni di euro. Per ridurre drasticamente questa voce la realtà rossoblù
potrebbe essere obbligata ad una campagna di “dismissioni” di giocatori al
termine della stagione. E’ importante, però, sottolineare come il club del
presidente Enrico Preziosi investa
molto sul potenziamento del vivaio (circa 9,4 milioni di euro nell’ultimo
bilancio). Nonostante questi punti di debolezza la società ligure ha chiuso, a
sorpresa, il bilancio 2013 con un piccolo utile (381.602 euro), grazie ad una
serie di eventi straordinari di gestione, come, per esempio, il conferimento
del ramo d’azienda specializzato nello sfruttamento delle attività commerciali
del brand Genoa in una NewCo (Genoa Image srl) interamente
controllata. Questa operazione di “finanza
creativa
” ha generato “proventi
straordinari
” per 27,4 milioni di euro.

Nettamente in rosso, invece,
i conti della Sampdoria, i cui costi del personale (46,97 milioni) superano,
anche in questo caso, il valore del fatturato netto (42,31 milioni). I doriani
infatti hanno registrato una perdita di esercizio pari a 13,4 milioni di euro.
Includendo anche le compartecipazioni, il valore contabile ipotetico della rosa è superiore ai 44 milioni di euro.

I PICCOLI/MEDI CLUB RINCORRONO LE GRANDI

Singolare che dei restanti
nove club fuori dai parametri del fair play ben sette di questi siano piccoli-medi
club di calcio. Uniche eccezioni l’AS Roma (83,76 per cento), che ha l’alibi di
aver potenziato i costi gestionali, per allestire una squadra competitiva in
campionato, coppa Italia, ma, soprattutto, in Europa, e l’Inter, nel pieno di
una articolata operazione di ristrutturazione aziendale (del valore di oltre
230 milioni di euro), che porterà, presumibilmente a giugno, ad una serie di
partenze e all’adozione di un modello gestionale dei calciatori in netta
antitesi con le spesi folli del periodo del “Triplete” (stagione 2010).

UDINESE MODELLO GESTIONALE

Con il suo 49,39 per cento
nel rapporto tra le due voci, l’Udinese conferma che si può provare a fare
impresa nel mondo del calcio, senza sforare i vincoli imposti dal fair play
finanziario. Sempre sotto il livello virtuoso del 50 (49,85 per cento) è il
Cagliari. Sul podio ideale il Napoli di Aurelio De Laurentiis, in lotta per il
terzo posto in campionato, che presenta un lusinghiero 57,46 per cento. Un termometro dello stato di salute
positivo del club partenopeo, da oltre sei anni in utile. Sulla buona strada
Lazio (60,39 per cento), Milan (61,32 per cento) e Juventus (65,89 per cento),
al di sotto della soglia di avvertimento, ma con un grande futuro collegato
allo sfruttamento dello stadio di proprietà.

 

LA RICETTA DA METTERE IN CAMPO

I club di calcio italiani
devono con i fatti, e non solo a parole, iniziare a ridurre drasticamente le
rose (e in questo senso la riforma a 25 giocatori lanciata dalla Federcalcio va
in questa direzione), puntando esclusivamente su calciatori di qualità e sul
potenziamento del settore giovanile. Un processo, quest’ultimo, che non può
essere procrastinato all’infinito, ma deve partire, al massimo, nei prossimi
6-12 mesi, in modo indistinto in seno a tutti i club di A, utilizzando il
campionato di B per far crescere le giovani promesse che non troverebbero
spazio nella massima serie, sempre più a “trazione” straniera. Parallelamente il vero problema delle società di serie A è
che non riescono a far esplodere la leva dei ricavi
, spesso ingessati per
l’assenza (ad eccezione di Juventus e Sassuolo) di stadi di proprietà.

Questo elemento di criticità, portato all’estremo,
rischia di depauperare il tesoretto
del calcio italiano, che, comunque, a livello professionistico (considerando
anche B e Lega Pro) genera volumi di affari per 2,5 miliardi di euro. Solo
facendo lievitare gli introiti commerciali (da botteghino, commerciali, diritti
audiovisivi, ecc.) si può controllare la voce dei costi del personale, provando
ad acquistare, soprattutto nelle società che partecipano alle competizioni
europee, i cosiddetti top player.
Si parla da tempo di spending review, di contenimento dei costi, a partire da quello molto oneroso del monte ingaggi dei calciatori, ma, nella realtà, se si analizzano in modo approfondito i bilanci societari, il rapporto tra costi del personale e fatturato “netto” (ovvero senza considerare plus e minusvalenze da intermediazione dei cartellini), ben undici club sui 20 della serie A sono fuori dai parametri del fair play finanziario voluto dall’Uefa ed entrato in vigore quest’anno. (fonte: Il Corriere dello Sport)

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