Sfide su RaiTre: Alex Zanardi racconta ”Lo chiamavano Bonimba”
E’ un percorso umano che parte da una fabbrica di Mantova, la fabbrica di suo padre operaio morto troppo presto per via della scarsa sicurezza ambientale. Essere lì, oggi, insieme agli operai in lotta per salvare il lavoro, per Bonisegna è semplicemente adempiere al dovere di un figlio che non dimentica.
Ecco, settant’anni passati senza metter giù la testa danno forse un’idea del giocatore che è stato Roberto Boninsegna. Capace di catalizzare su di sé l’attenzione di intere schiere di difensori che lo hanno vissuto come un autentico incubo da area di rigore. Un attaccante in grado di segnare da tutte le posizioni e in tutte le maniere – memorabile una sua mezza rovesciata a San Siro contro il Foggia – e che facevano di lui uno tra i giocatori più versatili del pianeta calcio, pur essendo fisicamente molto ben piantato su questa terra. Chissà se era un predestinato Bonimba, come lo abbiamo sempre chiamato noi appassionati di pallone (copyright Gianni Brera). Certo, in casa sua si respirava aria di calcio con il papà Bruno che gioca nella squadra della fabbrica e mamma Elsa pazza per il Mantova, che nei primissimi anni Sessanta sbarca persino in serie A. Ma un indizio, uno su tutti, fa pensare a una storia nascosta , già scritta da qualche parte: «Gli Invincibili».
È il soprannome con cui viene inevitabilmente bollata la squadretta dell’oratorio che, “scherzando scherzando”, comincia a farsi una fama in tutto il circondario. I ragazzi non perdono mai, partita dopo partita, sino ad arrivare a due anni di imbattibilità. E Roberto è forte come una roccia. Boninsegna è stato il giocatore fenomenale di tre grandi squadre: il Cagliari (allora veramente grande con Gigi Rombo di Tuono) poi l’Inter e infine la Juventus. La storia del Cagliari è la storia di Gigi Riva, che in questa occasione, vincendo la sua naturale ritrosia a mostrarsi alle telecamere, offre a «Sfide» la sua eccezionale testimonianza per l’amico Roberto. Ma quando un giocatore si può definire grande? Quando tutte le squadre in cui ha giocato lo ricordano come un calciatore fondamentale e anche i bianconeri che lo hanno accolto nella parte finale (ma non discendente) della sua carriera, possono tranquillamente concludere di avere avuto per tre anni un attaccante fantastico. Poi, certo, c’è il rapporto straordinario con i colori nerazzurri. Straordinario e tormentato, perché Bonimba prima di sfondare la diffidenza del «Mago» Helenio Herrera, che non lo vedeva ancora pronto, deve penare parecchio, circumnavigando la provincia dove l’Inter lo manda a farsi le ossa: Prato, Potenza e poi finalmente Varese in serie A. E ancora non basta, perché gli tocca Cagliari dove incrocia l’altra metà di una coppia fenomenale: Gigi Riva. E quando Riva rifiuta lo sbarco sul continente, tocca a lui – finalmente – riprendere la strada di “casa” e rivestirsi di nerazzurro. Lascerà una traccia incancellabile e anche quando dopo molte stagioni piene di successi, l’Inter lo “scambierà” con un Anastasi più giovane, i tifosi continueranno a rimpiangerlo.
Ed è proprio il rivale di una vita, Pietro Anastasi, il giocatore che spesso ha trovato Boninsegna sulla sua strada, a raccontarlo tra nostalgie, aneddoti, ricordi. E insieme ad Anastasi, altri simboli di quel tempo glorioso: Albertosi, Furino, Gori, Bertini, Niccolai…
La storia di Roberto Boninsegna, che in questi giorni compie i suoi primi 70 anni, parte dalla fine, da quell’ultimo miglio da colmare, che comprende memoria degli affetti e riconoscimento di una consapevolezza civile che non è mai venuta meno anche da giocatore.
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