Stadi – Dalla Bocconi una analisi sugli stadi tricolori
L’Italia sarà anche campione del mondo di calcio e annovererà alcune delle migliori squadre di club, ma i suoi stadi sono tra i peggiori d’Europa, tanto che i biglietti costituiscono un misero 17% delle entrate delle società, rispetto al 36% di dieci anni fa e il numero di spettatori, dopo il picco raggiunto all’inizio degli anni ’90 (all’indomani, guarda caso, della costruzione dei nuovi stadi per la Coppa del mondo), è in calo, anche se quest’anno è risalito. Il tasso di occupazione dei posti, al 50%, è il più basso tra quelli dei paesi calcisticamente evoluti e lontanissimo da quello, prossimo al 90%, degli inglesi, con cui potevamo confrontarci solo dieci anni fa.
È lo sconsolante quadro tracciato ieri da Antonio Marchesi, consulente e presidente dell’Organismo di vigilanza Gruppo Ac Milan, in apertura di un dibattito sulla gestione degli stadi organizzato dall’International master in management, law and humanities of sport (Master Fifa), il cui modulo di management si sta svolgendo alla Sda Bocconi. Tra i motivi che ostacolano lo sviluppo di buoni stadi di proprietà dei club in Italia Marchesi annovera una governance del calcio troppo complessa, il numero eccessivo di club, soggetti a frequenti retrocessioni e promozioni e una serie di regole specifiche, come quella della responsabilità oggettiva, che rendono incerta la gestione. Il risultato è che i proprietari dei club preferiscono investire in calciatori (il numero di quelli ingaggiati dalle squadre di Serie A è passato da 427 a 609 in dieci anni e le retribuzioni sono aumentate) piuttosto che in infrastrutture, facendo un comodo, ma pericoloso affidamento sui diritti televisivi, che costituiscono il 53,5% delle entrate.
Un sistema simile, ha concluso Marchesi, non è in grado di far valere la propria rilevanza sociale e manca di sostegno politico nonostante interessi l’80% della popolazione e versi alle casse erariali 1,22 miliardi di euro l’anno.
L’esperienza inglese dimostra invece che le società dovrebbero avere maggiore sensibilità all’argomento stadio, ha sostenuto Nicholas Gancikoff, amministratore delegato di Sports Investment Group, una società di consulenza specializzata. Uno stadio moderno mira a essere utilizzato tutti i giorni dell’anno, e non solo per il 5% del tempo, come capita a molti di quelli riservati alle partite di calcio. Si tratta di strutture dotate non solo dei servizi necessari a rendere piacevole l’esperienza della partita, ma di veri e propri centri commerciali o di servizi, alberghi e bar. Il nuovo stadio dell’Arsenal è anche il centro congressi più popolare di Londra e grazie alla sua gestione il quarto club inglese ha superato, in quanto ad entrate, il Milan. “Negli Stati Uniti il valore aggiunto che uno stadio regala a una municipalità è uno dei motivi per cui le città competono tra loro per diventare sedi dei club”, ha affermato il consulente. Tra i flussi di reddito garantiti da uno stadio Gancikoff ha elencato i diritti di naming, la possibilità di segmentare i posti a sedere, con box da affittare soprattutto alle aziende e altri posti di prestigio (il 20% dei posti può arrivare a garantire l’80% delle entrate), le concessioni (a S. Siro i venditori di cibo e merchandising intorno allo stadio incassano ogni domenica quanto il club che ospita la partita) e la gestione di eventi non calcistici.
La gestione deve essere, però, estremamente professionale, ha evidenziato Giuseppe Rizzello, direttore venues and events di Resquadro, un passato come responsabile sicurezza, biglietteria ed eventi per l’Inter. “Per rendersi conto della complessità di uno stadio basti pensare che, quando è pieno, S. Siro diventa la sesta città della Lombardia”, ha affermato. Uno stadio, secondo Rizzello, deve assicurare sicurezza, successo commerciale, riconoscibilità della struttura, comfort, intrattenimento a tutto tondo e una buona esperienza.
fonte: ViaSarfatti25.it (Bocconi Lab)
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