Vulpis su SBM: La finanza creativa è un male per il calcio
In un mondo del pallone sempre più in cerca di soldi, queste nuove realtà fanno comodo alle società in crisi per mancanza di sponsor e di fondi.
Ed allora, uno dei modi di sopravvivere è ”vendere” i propri giocatori a parti terze.
Chi di finanza ne capisce, ha visto dietro questa possibilità un vero e proprio potenziale. Infatti il giocatore viene comprato con la speranza che un domani possa fruttare.
Insomma grossi investimenti, ma ritorni pazzeschi.
Si arriva così ad avere tre parti : il giocatore, la squadra che ha il diritto della prestazione sportiva e la società che invece quello economico sul cartellino.
”Personalmente non amo per nulla il TPO, per il semplice motivo che non ritengo giusto il fatto che una terza parte detenga i diritti economici sul calciatore e, di conseguenza, possa di fatto commercializzarli; i calciatori devono avere il diritto di scegliere in autonomia il proprio futuro, magari di concerto con le persone che li seguono”; esordisce cosi l’avvocato Luca de Salvo, del Foro di Reggio Calabria, agente di calciatore ed esperto in trasferimenti.
L’avvocato giustamente sottolinea come, con questo fenomeno venga sicuramente limitata la libertà del giocatore. Pur mantenendo lo stesso l’ultima parola in caso di trasferimento, sicuramente viene maggiormente influenzato dalle politiche societarie.
Si crea così uno strettissimo legale tra parti terze e società sportive che, se da un lato fanno comodo in quanto permettono di iscrivere in bilancio minor costi, dall’altra c’è la possibilità che le stesse possano diventare sempre più dipendenti da questi investimenti.
Ne è convinto Marcel Vulpis, Giornalista professionista specializzato in economia e politica dello sport, direttore di Sporteconomy.it secondo cui ” Il rischio è reale e soprattutto possono incidere nelle scelte di “politica societaria” di molti club. Personalmente sono da sempre contro le “concentrazioni” in poche mani di forti interessi, quale che sia il settore. Il calcio ormai è business sportivo più che un gioco ed è chiaro che la “finanza creativa” può essere interessato ad entrarvi perchè c’è una grande concentrazione di volumi di denaro. Bisogna avere gli occhi aperti e le orecchie come antenne. E’ questo il ruolo dei giornalisti economici. Dobbiamo prevenire, non reprimere.”
Sono molti gli operatori del settore che non vedono di buon occhio questo nuovo fenomeno, che ormai è usato da oltre un decennio ma è venuto alla ribalta con il caso Tevez-Mascherano, che si sono trasferiti dal Corinthias al West Ham proprio attraverso un fondo d’investimento, come ci ricorda L’avvocato De salvo.
La FIFA, recependo questo mal contento non è stata con le mani in mano, ma pur avendo introdotto un apposito articolo (il 18 bis status calciatori) mantiene una posizione ancora ibrida, forse per i troppi interessi economici in gioco.
Sullo stesso parere è il direttore Vulpis che sentenzia ”come spesso succede finchè non scoppia la “bolla” tutti sono timorosi nell’intervenire. Poi però tutti grideranno allo scandalo, ma sarà troppo tardi. L’ingresso della finanza creativa, come amo chiamarla, è l’inizio della fine di questo sport. Anzi non è più calcio.”
In Italia questo metodo sembra ancora molto lontano, o meglio nessuno ha ancora comprato giocatori italiani. Come precisa l’avvocato ”sia la FIFA che la UEFA non vedono di buon occhio il TPO, e così anche alcune nazioni europee hanno deciso di vietarlo, inserendo una normativa ad hoc, ossia la Francia, l’Inghilterra e la Polonia. L’Italia come si comporterà? Sicuramente, in quanto nazione facente parte dell’UEFA, è obbligata ad ottemperare all’art. 18 bis del Regolamento Status e Trasferimenti dei Calciatori FIFA, all’interno del quale si vieta l’influenza di terzi nelle società sportive.”
Come accennato prima, questa situazione porta ad avere due realtà contrapposte: da una parte la società sportiva e dall’altra il fondo di investimento.
Questa binomio potrebbe portare a una frizione all’interno del club sulla gestione del calciatore.
Inoltre, afferma l’avvocato De Salvo come questo possa essere un potenziale rischio per l’integrità della competizione sportiva, in quanto inizierebbero a crearsi conflitti di interessi nel momento in cui la stessa società (terza) detenga diritti sui cartellini di giocatori che militano in club diversi.
Ne è sicuro anche il direttore Vulpis, che ci pone in esempio calzante ma anche un po’ inquietante: ”immaginate se durante un derby (è una ipotesi surreale, ma prima o poi succederà, vedrete) un fondo di questo tipo o una grande società di procure sportive dovesse trovarsi a gestire più di 10 calciatori, divisi in entrambi i club (ma tutti nella stessa “scuderia”). In linea di principio potrebbe arrivare persino a influenzare non dico il risultato, ma il clima di una partita, per gli interessi in gioco, in un senso o nell’altro. Magari è fanta-calcio o fanta-finanza applicata al calcio, ma anche no.”
Third-party ownership, cioè la proprietà di parte terze sul cartellino del giocatore. Una pratica nata in Sud America, ma ormai sempre più diffusa in tutta Europa, mediante la quale una società o un fondo di investimento acquisisce una percentuale sui diritti economici di un calciatore. (fonte: SportBusinessManagement).
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